Italia e Portogallo
          Por Nello Avella
          Manoel de Oliveira 
            ha attraversato tutto il “secolo breve”, essendo nato 
            a Oporto l’11 dicembre del 1908, e lo ha vissuto da protagonista 
            sulla scena internazionale, segnalandosi come uno dei più geniali 
            creatori dell’arte cinematografi ca. L’inizio del terzo 
            millennio lo vede ancora in piena attività: all’ultima 
            mostra del cinema di Venezia ha presentato il film O Espelho Mágico, 
            mentre in quella del 2004 –quando gli era stato consegnato il 
            Leone d’Oro alla carriera - aveva presentato fuori concorso 
            il film O Quinto Imperio- Ontem como Hoje (Il Quinto Impero 
            – Ieri come oggi), rivisitazione in prospettiva universale e 
            allegorica della vicenda del re Sebastiano. Il giovane sovrano, morto 
            nel 1578 in Marocco al termine di una disgraziata spedizione contro 
            l’Islam, secondo la leggenda subito creatasi sarebbe ritornato 
            all’alba di un giorno nebbioso a cavallo di un bianco destriero 
            per restituire al Portogallo l’antico splendore. Il “Sebastianismo” 
            nei suoi aspetti messianici e salvifi ci si è diffuso in tutta 
            la vasta galassia delle culture di espressione portoghese, rappresentandone 
            una delle principali isotopie sia a livello sociologico, sia nel campo 
            della creatività artistica (e in questo caso il “poeta 
            plurale” Fernando Pessoa, “fingitore” dichiarato, 
            incallito inventore di alterità mediante i suoi eteronimi, 
            è riferimento paradigmatico). 
            
            L’Italia ha saputo apprezzare Manoel de Oliveira sin da quando 
            egli presentò il suo primo lavoro, il documentario Douro, Faina 
            Fluvial, in cui ritraeva le diffi cili condizioni della gente, adulti 
            e soprattutto bambini che vivevano allora sulle sponde del fi ume 
            di Oporto. Era il 1931 e Luigi Pirandello, presente alla proiezione 
            realizzata a Lisbona nell’ambito del “V Congresso Internazionale 
            della Critica”, ne parlò in termini entusiastici mentre 
            il pubblico e i critici locali lo contestarono duramente. Nel nostro 
            Paese de Oliveira ha ricevuto i riconoscimenti più prestigiosi; 
            prima del trionfo alla mostra del cinema di Venezia del 2004, aveva 
            già ottenuto lo speciale Leone d’Oro nel 1985 per Le 
            Soulier de Satin (dall’omonima pièce di Paul Claudel) 
            e il complesso della sua opera. Il Presidente Ciampi, com’è 
            noto, gli ha concesso la massima onorifi cenza della Repubblica Italiana, 
            nominandolo “Cavaliere di Gran Croce”.
            
            Meno familiare al nostro pubblico è invece Agustina Bessa-Luís 
            (n. 1922), cui dobbiamo il bel ritratto di de Oliveira qui presentato. 
            Della sua vastissima produzione letteraria, infatti, esiste in italiano 
            solo il romanzo La Sibilla, pubblicato da Giunti nell’ormai 
            lontano 1989.
            
            Quel romanzo, in realtà, era uscito in Portogallo molti anni 
            prima, addirittura nel 1954, salutato dalla critica come “il 
            secondo miracolo del Novecento portoghese” (il primo, naturalmente, 
            era stato Fernando Pessoa). Seguiranno, nel corso degli anni, moltissimi 
            altri romanzi, racconti, biografi e di personaggi storici, diari di 
            viaggio, libri di memorie, sceneggiature, saggi e interventi giornalistici 
            che ne fanno una delle personalità più stimate nel panorama 
            della cultura portoghese ed europea. Diversi studiosi e critici hanno 
            accostato la scrittura della Bessa-Luís a quella di Marguerite 
            Yourcenar. Ha ottenuto innumerevoli riconoscimenti di grande portata 
            fra cui, nel 1997, il Premio Internazionale per la Narrativa dell’Unione 
            Latina; nel 2003 le è stato assegnato il “Premio Camões”, 
            vero e proprio Nobel della lusofonia. A ottobre del 2004, ricorrendo 
            il cinquantenario della pubblicazione di A Sibila, la città 
            di Oporto, dove risiede, le ha tributato un solenne omaggio alla presenza 
            delle massime autorità dello stato. A marzo del 2005 la facoltà 
            di lettere dell’università portuense le ha concesso la 
            laurea honoris causa.
            
            Manoel de Oliveira e Agustina Bessa-Luís sono legati da un 
            sodalizio artistico assai consolidato e da singolari affi nità 
            sul piano delle concezioni estetiche. Dai primi anni ’80 ad 
            oggi, vari fi lm del regista sono stati tratti da opere della scrittrice: 
            ricordiamo fra gli altri Francisca (1981), adattamento del romanzo 
            Fanny Owen (1979), Party (1996), per il quale Agustina ha scritto 
            i dialoghi interpretati da Michel Piccoli, Irene Papas, Leonor Silveira, 
            fino ai recenti O Princípio da incertez- za (Il Principio dell’Incertezza, 
            2001), in cui de Oliveira ha adattato in maniera assai libera il romanzo 
            Jóia de Família, prima parte di una trilogia che porta 
            il titolo usato dal regista per il suo fi lm, e O Espelho Mágico 
            (2005), trasposizione della seconda parte della trilogia (A Alma dos 
            Ricos).
            
            Come è stato autorevolmente osservato, i due artisti hanno 
            in comune la predilezione per temi di amori proibiti, la femminilità 
            come mistero davanti al quale si manifesta l’incapacità 
            e l’impotenza intellettuale dell’uomo, il “bovarysmo” 
            in quanto mito e contro-mito, l’androginia, e ancora storie 
            che trascolorano nel mito, immagini di acque profonde e di fi umi 
            di fuoco. Una natura “vulcanica e sotterranea” le cui 
            leggi, ha scritto a sua volta de Oliveira parlando della Bessa-Luís 
            in un ritratto della scrittrice di imminente pubblicazione, regolano 
            sia le sorti degli esseri umani sia la vita “della terra e del 
            mare ciclopico che costituiscono il pianeta dove nasciamo e viviamo, 
            e della cui materia facciamo parte integrante”. La scrittura 
            della sua illustre conterranea, geniale nell’apparente sregolatezza, 
            è secondo il regista espressione di una “intelligenza 
            ugualmente vulcanica e sotterranea”, tesa ad esplorare i meandri 
            più oscuri della condizione umana e della Natura stessa.
            
            Nello scritto che offriamo ai lettori, de Oliveira viene defi nito 
            dalla scrittrice “un visionario”, un personaggio che “sconcerta”. 
            Ed è interessante osservare che un celebre saggio pubblicato 
            in Portogallo nel 1964 s’intitolava Desconcertante Agustina. 
            
            
            In effetti, sia l’una che 
            l’altro sono soggetti “sconcertanti” nel senso che 
            sfuggono a qualsiasi tentativo di classifi carli, di inserirli in 
            una determinata scuola o corrente. Entrambi sono poeti “non 
            accademici”. Hanno però radici comuni che affondano nella 
            tradizione storico-letteraria del nord del Portogallo, quel mondo 
            ancestrale e barocco che aveva avuto in Camilo Castelo Branco (1823-1890) 
            un sarcastico e impietoso analista, capace di rappresentare vizi e 
            pregiudizi di classe tipici di un ambiente legato alla proprietà 
            terriera e al denaro (Romance de um Homem Rico, Romanzo di un Uomo 
            Ricco, 1861), dove l’amore può condurre solo a esiti 
            “fatali”, al peccato da espiare con sofferenza e rimorso 
            (Amor de Perdição, Amore di Perdizione,1863). Sarà 
            suffi ciente ricordare, ora, la trasposizione cinematografica di quest’ultimo 
            romanzo, con lo stesso titolo, realizzata da de Oliveira nel 1976. 
            Quanto alla Bessa Luís, il secondo volume della sua trilogia 
            porta il titolo, che risulta signifi cativo nel contesto del nostro 
            discorso, di A Alma dos Ricos (L’Anima dei Ricchi, 2002), dove 
            a un certo punto leggiamo: “Com’è l’anima 
            dei ricchi? – È un’anima incandescente, ma fredda”.
            
            Sempre a proposito delle eredità culturali autoctone, nello 
            scritto della Bessa-Luís, Su Manoel de Oliveira, si parla dei 
            “poeti tradizionali della nostra saudade”, in particolare 
            Bernardim Ribeiro e D. Francisco Manuel de Melo.
            
            Il primo esprime una filosofia in cui prevale il sentimento tragico 
            della vita, dominata totalmente dal fuoco d’amore (e in questo 
            senso si è parlato di una “religione dell’amore” 
            che accomunerebbe Bernardim Ribeiro e Camilo Castelo Branco).
            
            Del secondo, aristocratico cosmopolita, figura eminente del baroccopeninsulare, 
            troviamo nel testo su de Oliveira il richiamo alla vicenda leggendaria 
            della dama inglese morta a Madeira seguendo il suo illegittimo amante.L’episodio 
            è narrato da de Melo in un’opera di carattere storico, 
            in cui fatti accertati si mescolano con elementi di fantasia e considerazioni 
            personali dell’autore. Nel caso specifi co, si tratta di una 
            fi ctio che si richiama al modello psicologico e narrativo di Bernardim 
            Ribeiro, nobi litata da acute argomentazioni sulla saudade intesa 
            come una caratteristica peculiare dello spirito portoghese, “un 
            male di cui si prova piacere”, la percezione di “qualcosa 
            che sta fuori di noi ed è meglio di noi, con la quale desideriamo 
            unirci”.
            
            La genealogia spirituale di Manoel de Oliveira e Agustina Bessa Luís 
            è, a questo punto, quasi conclusa. Osserviamo, per completezza, 
            accanto al Dostoiewski amatissimo dalla scrittrice, il nome di Luís 
            de Camões, il Poeta per antonomasia di tutte le patrie che 
            si riconoscono nella lingua portoghese (si deve a Mário Soares 
            la suggestiva definizione del portoghese come “patria di molte 
            patrie”), autore, insieme a una straordinaria produzione lirica, 
            de I Lusiadi (1572), il celeberrimo poema epico in cui sono celebrate 
            le gesta dei navigatori che seppero sfidare l’impossibile e 
            fecero conoscere “nuovi mondi al mondo”. Allo stesso tempo, 
            non manca al ciclopico Camões il presentimento della tragedia 
            che incombe sulle glorie imperiali, la dimensione della sofferenza 
            individuale e collettiva a fronte dell’esaltazione patriottica. 
            È in questa prospettiva dialettica e di contraddi zione che 
            la Bessa-Luís lo inserisce nell’albo genealogico di de 
            Oliveira (e, ovviamente, nel proprio), insieme a quel Régio 
            che esaltava il “gusto di fare della pena altrui la propria 
            pena”. Poeta, prosatore, drammaturgo, critico e esperto collezionista 
            di oggetti artistici, José Régio (1901-1969) è 
            stato uno dei principali protagonisti del Novecento portoghese. Nato 
            anch’egli nella regione di Oporto,intrattenne per tutta la vita 
            un sodalizio assai intenso col regista, il quale ne ha portato sullo 
            schermo diversi lavori teatrali. La loro affi nità elettiva 
            è segnata dall’ossessione di intuizini perennemente irrisolte, 
            confl itti su orgoglio e umiltà, individuo e società; 
            entrambi tendono al recupero dell’unità primigenia dell’essere 
            ma devono prendere atto della perdita dell’armonia, derivandone 
            frustrazione e ansia di perfezione sempre e comunque inappagata. E 
            qui riappare il volto della saudade, il porto sicuro dove regna l’Armonia 
            che è la “combinazione dei contrasti, combinazione di 
            luce e ombra, allegria e tristezza”, nella defi nizione di Joaquim 
            Teixeira de Pascoaes (1872- 1952), il poeta (non a caso anch’egli 
            originario del Portogallo settentrionale) che ha fatto della Saudade 
            una specie di fi losofi a poetica visionaria della quale sia de Oliveira 
            sia Agustina sono fortemente imbevuti.
            
            Risulta chiaro, in questo modo, il senso delle ultime parole del testo, 
            dove si accenna alla tristezza provocata dall’interruzione del 
            “concerto musicale della parola”: ut musica, poesis, sembra 
            intendere la scrittrice. Pensiamo a ciò che diceva Marc Bloch: 
            l’arte, in particolare la musica, è manifestazione della 
            “fantasia oggettiva”, ossia della facoltà estetico-teoretica 
            capace di anticipare sul piano espressivo e simbolico il “mondo-non-ancora-divenuto”. 
            Il concerto musicale della parola, come afferma la nostra autrice, 
            è espressione di quella Armonia che, detta in altro modo, si 
            può chiamare Utopia. Nel caso di de Oliveira, la dimensione 
            utopica del rapporto immagine-parola-suono-musica è esplicitamente 
            dichiarata nel titolo e nell’andamento di opere come Palavra 
            e Utopia, Parola e Utopia, 2000) e Um Filme Falado (Un Film Parlato, 
            2003). Per quanto riguarda Agustina, il testo Su Manoel de Oliveira 
            è, credo, un breve ma signifi cativo saggio della musicalità 
            della sua prosa pur così complessa sul piano della riflessione 
            estetica ed esistenziale.