Identità brasiliana
Patricis Peterle
intervista Ettore Finazzi Agrò
Essendo
Lei uno studioso dell’opera di Guimarães Rosa, potrebbe
spiegare la metafora paradossale del Brasile nel sertão rosiano?Che
luogo occupa l’opera rosiana nella produzione cultu rale brasiliana?
Fin dalle mie prime
letture dei testi rosiani e della loro ricezione critica, si è
insinuato in me il dubbio che l’assolutizzazione del senso –
pur asse- condando alcune indicazioni dello stesso autore, che invitavano
ad una lettura in direzione simbolica – rischiava, d’altra
parte, di nascondere o, addirittura, di cancellare i significati storici
in essi impliciti. Ciò che voglio dire è che al di sotto
e, al contempo, al di là di ogni possibile interpretazione
in chiave ma-gico-misterica, ciò che resta dell’opera
di Guimarães Rosa è la sua interlocuzione (se non la
sua intertestualità) con altre opere di fondazione e il suo
affaccendarsi attorno alla questione identitaria, al problema del
rapporto fra locale e globale, fra regionale e nazionale che resta
un tema assiale nella produzione letteraria brasiliana del Novecento.
Letture recenti, d’altronde (cito solo i nomi di Willi Bolle
e di Heloisa Starling), hanno anch’esse tentato di rintracciare
l’intenzione storica seppellita in una scrittura sovrabbondante,
nello stupefacente arabesco di parole e figure pazientemente disegnato
dallo scrittore mineiro. Per semplicità, ripeterò ciò
che ho già scritto a proposito di Grande sertão: veredas,
che, cioè, di-ca delle opere di Rosa – transitando dal
particolare all’universale, senza soffermarsi su quella che
io chiamo la “interdizione della Patria”, ossia il suo
“dirsi-fra” – rischia di consegnarci un autore vincolato
ad una visione metafi sica della realtà, laddove abbiamo a
che fare con uno scrittore assai più complesso, che non ignora,
certamente, il lato magico-misterico dell’ esistenza, ma che
arriva ad esso attraverso un interrogazione e una ricerca del senso
(uma- no, troppo umano) del vivere entro determinate coordinate
storiche e spaziali.
Con ciò mi
pare di poter rispondere anche alla seconda domanda: l’opera
rosiana si colloca, a mio parere, al crocevia di istanze ideologiche
e culturali che percorrono la produzione letteraria brasiliana. Basta
pensare al rapporto che essa intrattiene con la letteratura regionalista:
un rapporto che è, certamente, di fi liazione ma che, con altrettanta
certezza, si muove verso un superamento dei canoni propri di tali
produzione, in direzione di una dialettica menticare la preoccupazione
nazionale e il non tener conto della dimensione socio-stori-inconclusa
fra spazi e tempi eterogenei, fra generi apparentemente incompatibili.
In questo senso, il regionalismo rosiano sembra anche tener conto
della narrativa urbana, così come la sua Storia si offre come
un tessuto di storie (di estórias, appunto), nelle quali resta
presa, a sua volta, una certa immagine della Nazione. La grandezza
di Guimarães Rosa, in conclusione, si coglie proprio in tale
indecidibilità, in tale sospensione, in questa intricata ragnatela
di segni e di sensi storico culturali che nessuna logica, nessuno
senso assoluto e irreversibile può o deve afferrare nella sua
sovrabbondanza.
Che somiglianze
sono possibili identifi care tra i profi li e le sperimentazioni del
modernismo brasiliano e portoghese?
Si tratta, a mio parere,
di un’altra questione cruciale in ambito storico-letterario.
Polemiche recenti, di fatto, hanno posto nuovamente al centro dell’attenzione
il rapporto tra le sperimentazioni poetiche che si sono svolte sui
due lati dell’oceano. Senza assolutamente voler entrare in esse,
credo che anziché tentare di decifrare i possibili segni dell’infl
uenza dell’una sull’altra, si possa tranquillamente affermare
che la vera coincidenza sia soprattutto di ordine temporale. Certo
esistono figure letterarie e/o intellettuali che sembrerebbero poter
costituire una sorta di ponte fra i due Modernismi (Ronald de Carvalho
o Adolfo Casais Monteiro), ma, in verità, lo sperimentalismo
portoghese ignora largamente – o ne ha un’informazione
molto sommaria e superfi ciale – quello brasiliano e viceversa.
Credo, d’altronde, che abbia ragione AntonioCandido nell’affermare
che i modernisti brasiliani rifiutassero, quasi per partito preso,
il modello linguistico-letterario lusitano (com’è ovvio,
in un’epoca di affermazione orgogliosa di un’identità
culturale specifi ca) e quindi anche le sue sperimentazioni artistiche.
Basta rileggersi, in questo senso, Itinerário de Pasárgada
per capire come nella formazione di un poeta così brasiliano
e così curioso di nuove esperienze artistiche quale fu Manuel
Bandiera, la lezione del modernismo portoghese non entri affatto o,
almeno, non sia mai menzionata. Certo, nell’ambito della sua
produzione (come, del resto, anche in Drummond o in João Cabral)
si ritrovano anche poesie “alla maniera di” Fernando Pessoa,
ma si tratta della sua produzione più matura, quando non solo
il parti-pris anti-portoghese si è smarrito, ma allorché,
soprattutto, comincia ad essere diffusa e conosciuta l’opera
pessoana. Perché bisogna anche considerare il fatto che il
massimo esponente del Modernismo portoghese se era scarsamente conosciuto
in Patria, almeno fi no agli anni ’40-’50 del secolo scorso,
non poteva, a maggior ragione, esercitare un’infl uenza degna
di questo nome sui Modernisti di São Paulo, di Rio o di Minas
nel corso degli anni ’20 e ’30. Ciò che resta è
appunto una coincidenza epocale che si traduce in comunità
di accenti e di temi. Si prenda, ad esempio, la crisi dell’identità
e del senso che è così tipica delle Avanguardie primo-novecentesche
di ogni latitudine: trattandosi di un dato storico caratterizzante,
lo troveremo ovviamente in autori,anche sul piano estetico e ideologico,
assai distanti fra loro. Così che se scopriamo affi nità
tra, ad esempio, testi di Pessoa (“Multipliqueime, para me sentir,
/ Para me sentir, precisei sentir tudo...”) e poesie di Mário
(“Eu sou trezentos, sou trezentos-ecimcoenta, / As sensações
renascem de si mesmas sem repouso”), si può parlare,
a mio parere, solo di una comunanza di esperienze logico-esistenziali
e storiche, e non certo di infl ussi (e come, d’altronde, se
uno ignorava la produzione dell’altro?).
Il libro del
modernista Mario de Andrade, Macunaima – o herói sem
nenhum caráter, è un tentativo di delineare l’identifi
cazione del popolo brasiliano. Secondo Lei qual è la(e) funzione(i)
socia- le dell’arte nell’ambito della produzione letteraria
e intelletuale marioandradiana?
Mário mi è
sempre apparso come l’unico vero intellettuale (in senso anche
europeo, cioè in grado di intervenire globalmente sulla realtà
culturale circostante) espresso dal Modernismo paulista. La sua capacità
di sintetizzare nella fi gura di Macunaíma, la Mancanza –
che è, al contempo e paradossalmente, Eccesso – nella
quale si riflette l’identità brasiliana, ne è
una prova evidente. Il suo romanzo è divenuto, non a caso,
un’opera emblematica, nella quale si specchia, senza esaurirsi,
il senso di una società stratifi cata e complessa, di una storia
non-consequenziale che solo in quel “personaggio senza carattere”
e, contemporaneamente, pieno di tutti i possibili caratteri (ho sempre
considerato non casuale l’uso ambiguo della doppia negazione
semnenhum) può trovare la sua strana ragion d’essere.
Della sua attività letteraria e delle sue ricerche sulla cultura
popolare e su quella erudita, Mário è riuscito a fare
uno strumento di comprensione e di intervento in rapporto all’arte
brasiliana, la cui controprova sta, a mio parere, nella sua vastissima
corrispondenza – quasi un compendio inevitabile alla sua attività
ermeneutica racchiusa nei testi letterari e nei saggi. Del resto,
tale preoccupazione pedagogica e di indirizzo è ribadita dalla
sua attività di assessore alla cultura del Governo di São
Paulo.
4. Che rapporti,
professore, può stabilire tra le letterature brasiliana e italiana?
È impossibile
sintetizzare in una risposta breve una storia plurisecolare di relazioni
fra la cultura brasiliana e quella italiana (si dovrebbe partire almeno
dall’arcadismo per arrivare ai giorni nostri). Preferisco, se
mi è consentito, rendere omaggio ad un grande poeta e saggista
brasiliano, scomparso da poco tempo, che si è dedicato a più
riprese allo studio della letteratura italiana, impersonando brillantemente
il ruolo di mediatore fra le due culture: mi riferisco, ovviamente,
ad Haroldo de Campos, il quale si è occupato con uguale competenza
di letteratura italiana e di letteratura brasiliana (per tacere delle
altre…), sia in veste di studioso che di traduttore. Fortunatamente
in Brasile vivono molti altri studiosi ed artisti che continuano a
mantener vivo questo fecondo dialogo fra le due letterature: solo
il confronto e, ancor più, la capacità effettiva di
“porsi-fra” espressio-ni letterarie apparentemente distanti
può dare accesso ad una comprensione non superfi ciale sia
della propria che dell’altrui cultura.
5. Essendo
Lei italiano e docente di Letterature portoghese e brasiliana, può
dirci qual cosa in merito alla diffusione e all’esito della
lingua portoghese e delle letterature portoghese e brasiliana nell’Italia
odierna?
Anche in questo caso,
la risposta dovrebbe essere assai ampia e, ciò nonostante,
rischierebbe di risultare insuffi ciente. Posso solo ribadire che
l’interesse, sia in ambito universitario che extra-universitario,
nei confronti delle due letterature, risulta degno di nota. Così
come sempre più grande è il numero di coloro che accedono
ai corsi di lingua portoghese (che, del resto, è una delle
linguedell’Unione Europea). Si dovrebbe, certo, discriminare
tra un interesse generico verso culture considerate, in larga misura,
“esotiche”, e un’attenzione più profonda
e, per così dire, “contestualizzata” verso la grande
produzione letteraria portoghese e brasiliana, ma, appunto, il discorso
si farebbe lungo e irto di ostacoli (tanto per fare un esempio, dove
collocare e come interpretare la vera e propria del pubblico italiano
per la fi gura e le opere di Paulo Coelho?). Preferisco segnalare
la fruizione sempre massiccia delle opere di Pessoa e, più
recentemente, di Saramago e Lobo Antunes, sul versante portoghese,
e di Guimarães Rosa, Clarice Lispector e Jorge Amado (per tacere
di Rubem Fonseca e Milton Hatoun), su quello brasiliano.