La macchina
Por Monica Dini
Siamo entrati in grotta
alle 8,20 di venerdi, siamo usciti di domenica alle 18,16.
Ho dato in pegno alla grotta tre giorni di vita e mi ha consegnato
il limite oltre il quale non posso andare…
Lo cercavo…
Volevamo un’uscita in grotta impegnativa, dopo quelle di rodaggio.
Una sorta di battesimo. La nostra meta erano le gallerie a pressione,
a – 580. Cinquecentoottantametri per ritto sotto terra, attraverso
chilometri in una grotta severa, non per tutti.
Io le gallerie le avevo viste in diapositiva, enormi condotte lisce
di rocce colorate. Rotonde come la sezione di un tubo, alte il doppio
di un uomo alto, larghe quanto basta per renderle rotonde.
Le vedevo ma mi sembrava strano che esistessero…
Ma siamo sicuri che non ci stiano prendendo in giro? Avevo chiesto
dopo la proiezione… Non è che qualche entità estranea
costruisce i modelli, di grotta, di dinosauro, di palafitte, prepara
i quiz e studia i nostri tempi di reazione?
Sono proprio naturali … Mi avevano risposto.
Eravamo in cinque, quattro novellini e un Guru, davanti al maestoso
ingresso nei marmi dolomitici. Quota 1450m s.l.m.. Nei dintorni distese
di rocce grigie, sassi, piccoli cespugli, un cielo di un azzurro convinto,
come quello che disegnano i bambini…quei paesaggi che ti guardi
intorno e pensi… starei bene anche qui…ma poi vai, perché
dentro è diverso e fuori è sempre uguale…
Abbiamo sceso il pozzo iniziale con baldanza, siamo strisciati nelle
strettoie. Mi è rimasta la bomboletta incastrata mentre avanzavo
a pancia in giù tra le rocce. Si è staccato il tubo
del gas e subito l’aria sapeva di aglio digerito. Eravamo così
nello stretto che per un attimo ho temuto che il gas si incendias-se…
e ho sentito nelle orecchie quella domanda che mi fanno spesso, ma
non hai paura che le rocce ti schiaccino? …
No, perché io sono la roccia… Finite le strettoie, abbiamo
sgomitolato decine di corde su piccoli pozzi, salti, traversi, finchè
ci siamo inginocchiati sopra il pozzo più profondo, 120 metri.
Istintivamente come nei sacrari, abbiamo abbassato la voce e girato
al largo dalla sua bocca.
Abbiamo fatto il tè. Era la prima volta che mi affacciavo a
un pozzo simile. Pensavo… sarà uguale… più
lungo certo, ma la tecnica è la stessa, solo questione di tempo.
Invece mi respirava addosso e avevo poco ossigeno, ansimavo un po’.
Quando ho tirato su la corda per infilarla nel discensore, credevo
fosse murata in fondo, non riuscivo a lavorarla. Non scorreva, la
sua pesantezza rallentava gli attrezzi come se dal basso mi facessero
sicura.
Si è soli sulle corde, come nella morte.
Non ho avuto molto coraggio…
non mi sono guardata intorno, di solito lo faccio. Quando la corda
ha co minciato a girare su se stessa ed io ero il ragno che vorticava,
ho sentito lecinque dita di una mano spappolarmi il cuore…e
una bocca mordermi le gambe facendole ritirare. E’ un brivido
che appuntisce le orecchie, quand’ero piccola lo provavo attraversando
la strada se all’improvviso spuntava una macchina…
Ero molto stanca. In grotta quando ti rendi conto di essere troppo
stanco è grave. Poiché non esistono di norma uscite
basse, è necessario ripercorrere
al contrario la strada fatta in discesa.
In modo più faticoso. Quando siamo arrivati alle gallerie.
Con un dito ho accarezzato le pareti come appartenessero ad un animale
e ho pensato che ho avuto culo a vederle di persona.Credevo ancora
di ragionare bene.
Invece stavo male.Quando uno dei miei compagni ha cominciato ad avere
le visioni a causa dello sfinimento fi sico, non mi è importato
di consolarlo, non sapevo cosa fare per farlo rinvenire. Non ho trovato
niente da dire… sono rimasta a guardarlo…
Annaspava girando in tondo, di ceva che aveva sete e vedeva l’acqua
ovunque, che scorreva dalle rocce, per terra, che zampillava dappertutto.
Mi invitava …
Bevi anche tu qui, è fresca…
E c’erano solo rocce-fango-con- crezioni …
Lui succhiava il terreno e leccava le pareti. Ho pensato che era diventato
matto e sarebbe rimasto così per sempre. Ho anche pensato che
ero morta perchè non avevo reazioni. Che tempo è quello
che passa nelle grotte? Diverso…
La risalita è stata lentissima. Mi ad dormentavo ovunque, sul
cambio da un chiodo ad un altro, mentre aspettavo i compagni in cima
ai pozzi. Il sacco ciondolava nel vuoto sotto le mie gambe, non avevo
la forza di tirarlo su, se lo guardavo troppo mi addormentavo. La
parte più diffi cile in risalita è stato il pozzo da
120, non finiva mai. Quarantadue minuti sulla corda. Aspettando gli
altri mi sono addormentata in una nicchia e il freddo bavoso della
grotta mi ha invischiato. Sicapisce perché qualcuno si lascia
morire di stenti… è molto più comodo…
Strisciando nelle strettoie, ad ogni rallentamento dei compagni mi
addormentavo, non potevo farne a meno, era come scivolare su un piano
inclinato, tenevo la mano sotto una guancia, alla fi ne era tutta
scorticata.
E’ stato bello uscire senza morire. Il paesaggio medica le ferite.
Mi colavano sugli occhi delle macchie nere informi. A volte mi sembravano
un animale che sbucava all’improvviso e mi spaventavo, poi le
mettevo a fuoco, erano ombre. Trascinavo i piedi, le braccia dondolavano
come di qualcun altro, frusciavano a contatto con la tuta fangosa.
Conservavo il casco in testa, storto all’indietro, obbligato
dal peso che la bomboletta gli trasmetteva attraverso il tubo del
gas, le cinghie legate sotto il mento mi strangolavano, non riuscivo
ad accordarmi con le mani per liberarmi da quel fastidio, andavo avanti,
il sentiero in ripida discesa mi risucchiava. Come una macchina in
folle mi muovevo incapace di pensare…
Ha ragione chi sostiene che l’uomo è il proprio corpo,
io credevo di abitarci… tutta quella stanchezza mi ha fatto
capire… non sentivo niente dentro… non ho trovato un’anima
in attesa che il corpo si riprendesse. Cosa cercavo?… Il metro
che solo in condizioni estreme puoi graduare. A quanto può
andare questa macchina che è il mio corpo senza scoppiare?…
Eravamo quattro novellini e un Guru. Tre di questi non sono più
tornati in grotta, non hanno trovato dopo quell’esperienza le
ragioni per continuare. Siamo stati selezionati. Un ritorno alle leggi
naturali. A casa, prima di addormentarmi, prima di affondare in un’unica
macchia nera, ho rivisto sfi lare le gallerie a pressione, le concrezioni,
ho sentito alitare il pozzo più profondo e la scossa alle orecchie.
Mi sono sentita bene. Come mai?… Così come i dolori di
parto, la memoria aveva anestetizzato la fatica.