Lucania:
un incontro d'amore di Carlo Levi
Giuseppe D'Angelo
Sono arrivato
a Gagliano un pomeriggio di agosto, portato da una piccola auto sgangherata.
Avevo le mani impedite, ed accompagnato da due robusti rappresentanti
dello Stato, dalle bande rosse ai pantaloni e dalle facce inespressive.
Così
Carlo Levi descrive il suo arrivo nel paese lucano che in realtà
ancora oggi si chiama Aliano, allinizio del suo «Cristo
si è fermato a Eboli». Vi arrivava da Grassano dove in
un primo tempo era stato mandato al confine - comè risaputo
una geniale invenzione del regime fascista per neutralizzare i propri
avversari politici - dopo aver trascorso nove anni in carcere, a causa
delle sue idee.
Io sono ritornato nello stesso posto in una mattinata di agosto di
questanno, centenario della nascita di Levi, con le mani libere
ed accompagnato da due amici, anchessi robusti, per rivisitare
quei luoghi da me conosciuti in gioventù, e tanto amati dallo
scrittore torinese.
Per arrivarci, abbiamo percorso, partendo dal litorale ionico, una
superstrada di recente costruzione. Questa, incassata tra montagne
argillose e brulle, sembra scorrere in un tunnel a cielo aperto. A
lato il fiume Sinni, imbragato dal cemento, accentua ancor di più,
laridità del paesaggio. E pensare che in tempi remoti,
questa zona era tutta coperta di verde, come annota lo stesso Levi:
«poi saremmo entrati nel bosco di Accettura, uno dei pochi rimasti
dellantica foresta che copriva tutto il paese di Lucania. Lucus
a non lucendo, veramente oggi: la Lucania la terra dei boschi, è
tutta brulla».
Sperduti in tanta desolazione appaiano le sagome diroccate di vecchie
masserie e ville moderne di un falso stile mediterraneo. Verso lalto
si muovono alla ricerca della scarsa erba prigioniera dellargilla,
le pecore svestite dei loro manti lanosi, appena tosati.
Inerpicandosi con lauto su per i monti, saltano alla vista i
calanchi, fenditure nella montagna che sembrano solchi scavati dal
sudore e dalle lagrime degli abitanti di queste bande desolate.
Dopo tante giravolte, allimprovviso ci imbattiamo nel paese
[che] non si vedeva arrivando, perché scendeva e si snodava
come un verme attorno ad ununica strada in forte discesa, sullo
stretto ciglione di due burroni e poi risaliva e ridiscendeva tra
due alti burroni, e terminava sul vuoto. Limmagine del
paese tutto sinuoso riappare più avanti nei ricordi dello scrittore:
Non si vedeva tutta Gagliano, che sta nascosto come un serpente
acquattato fre le pietre.
Poco dopo ci troviamo sulla piazza che non è veramente
che uno slargo dellunica strada del paese, in un punto più
piano, dove finisce Gagliano di Sopra, la parte alta. Di qui si risale
un altro pó, e si ridiscende poi, attraversando unaltra
piazzetta, a Gagliano di Sotto, che termina sulla frana. E qui
vediamo la casa dove lo scrittore passò la maggior parte del
suo soggiorno obbligato a Gagliano e che attualmente è in fase
di ristrutturazione. La casa è sovrastata da unampia
terrazza che da sul burrone, alla destra del quale svetta la Fossa
del Bersagliere, così chiamata perché di lassù
vi fu buttato giù un bersagliere catturato daí briganti.
In quella terrazza Levi passava, nei giorni di sole, molto del suo
tempo scrivendo e dipingendo. Ma nei momenti in cui più acuta
era la nostalgia per la sua Torino momentaneamente distante, certamente
seguiva con invidia il silenzioso movimento concentrico dei nibbi,
liberi di volare nellimmensità dellaria.
Il nuovo domicilio - il primo era stato la pensione di una vedova
- è il preferito dallo scrittore perché la casa
aveva il vantaggio di essere in fondo al paese fuori degli sguardi
continui del podestà e dei suoi accoliti, ma anche e
soprattutto perché in questa residenza cera un
gabinetto, senzacqua naturalmente, ma un vero gabinetto col
sedile di porcellana. Era il solo esistente a Gagliano, e probabilmente
non se ne sarebbe trovato unaltro a più di cento chilometri
attorno. Nelle case dei signori ci sono ancora delle antiche seggette
monumentali di legno intarsiato, dei piccoli troni pieni di autorità.
Nelle case dei poveri, naturalmente, non cè nulla.
Certo il gabinetto a quei tempi era un lusso che non trovava posto
nella maggior parte delle misere dimore del paese: Le case dei
contadini sono tutte uguali, fatte di una sola stanza che serve da
cucina, da camera da letto e quasi sempre anche da stalla [...]. La
stanza è quasi tutta riempita dallenorme letto, [...]
nel letto deve dormire tutta la famiglia, il padre, la madre e tutti
i figliuoli. [...] Sotto il letto stanno gli animali....
Questa
descrizione mi tocca sempre profondamente perché mi riporta
al tempo della mia infanzia, quando vedevo e vivevo lo stesso quadro
di abbandono. Un mondo insomma serrato nel dolore e negli usi,
negato alla Storia e allo Stato, etenamente paziente [...] dove il
contadino vive nella miseria e nella lontananza, la sua immobile civiltà,
su un suolo arido, nella presenza della morte.
Per le strade dellAliano attuale, ho cercato invano quei volti
segnati dalla fatica e dalla sofferenza. Ho visto, invece, tra i ridotti
abitanti del paese molti sono ancora gli emigranti - solo facce
ben pasciute, gente ben vestita e case ed edifici riammodernati, dove
certamente il gabinetto non è più un lusso, ma spesso
è dotato persino di vasca Jacuzzi.
Sempre seguendo londa dei ricordi, mi viene in mente uno scrittore
colombiano, Arnoldo Palacios, un carissimo amico che, per una felice
coincidenza, mi fece amare lopera leviana. Egli infatti, aveva
conosciuto in Italia Carlo Levi, che impressionato dalla sua personalità,
gli fece il ritratto. La figura del mio amico forse ricordava al pittore-scrittore
torinese un personaggio del suo famoso libro, un bambino dalla grossa
testa rotonda, col naso corto e la bocca carnosa, su un corpicino
esile.
Arnoldo mi parlava spesso di Levi, risaltandone le doti umane e la
sua grande capacità di comprendere gli altri. E mi diceva pure
che quel libro, Cristo si è fermato a Eboli, avrebbe
voluto scriverlo lui, ritrattando le condizioni subumane degli emarginati
del suo paese, la Colombia. Mi diceva altresì che il libro,
oltre a richiamare lattenzione su uno dei grandi problemi della
storia dItalia, cioè la questione meridionale, era intensamente
universale. E aggiungeva che a lui non interessavano i valori letterari,
la lingua e la forma dellopera. Il libro lo colpiva soprattutto
perché parla di cose vere, e la verità è vera
per tutti, perché esprime la libertà, e la libertà
è libera per tutti; perché guarda gli uomini con lamore
è la ragione dellesistenza.
In realtà Cristo si è fermato a Eboli è
sicuramente un canto damore per la Lucania e le sue genti. Un
amore che come lo stesso autore afferma, influisce anche sulla sua
pittura. Nel Catalago della Biennale di Venezia del 1954, Levi confessa:
Nei quadri di prima, il soggetto ero io, un io nel suo farsi
e specchiarsi nelle cose [...] e nel suo concludersi dogni cosa
su stessa, rispecchiata in ogni altra. Era un mondo, a suo modo perfetto,
il mondo della metamorfosi continua dellio, specchio delle cose
[...] La Lucania è stata la rottura di questo cerchio magico:
Non più gesti,
conchiglie
femminili e rosate
non più rocce atteggiate
per antichi compianti
occhi neri che i pianti
di infinite vigilie
fatte han vuoti, guardate
nel profondo dellanima
Quelle terre, quelle persone... dove un dolore antico / era
prima del mio arrivo... avevano unesistenza che rifiutava
ogni magica metaformosi individuale. Cosí cominciò il
distacco, che è libertà, la comprensione e lamore.