Un itinerario
siciliano
Milva Scorpioni
La
Sicilia reale ma anche quella mitica che ci hanno fatto immaginare
il cinema e la letteratura. La curiosità di scoprire un carattere,
un modo di essere e un paesaggio che stanno cambiando velocemente,
incalzati dallindustrializzazione e dal turismo. Forse è
con la speranza dimbattersi in qualche segno di questo mito
che scegliamo di visitare la provincia di Trapani, ad ovest dellisola.
La provincia siciliana piú lontana dal continente, quella che
solo in minima parte fu colonizzata dai greci, protesa verso il mare
e la vicina Africa. Lasciamo la costa palermitana, straripante di
turismo alla moda. Una comodissima autostrada ci porta ad Alcamo,
uno dei centri piú importanti del trapanese. Chi pensasse a
queste terre come a qualcosa di arido e povero si sbaglia, avvicinandoci
alla cittá cominciamo a scorgere i primi vastissimi vigneti,
adagiati ordinatamente sulle colline. Varie importanti cantine lavorano
il famoso vino bianco dAlcamo. Lagricoltura in generale,
insieme alledilizia, è il motore principale delleconomia.
La cittá è bella, nobile, orgogliosa della sua ricchezza
e dei suoi monumenti, che non sono pochi. Tra i piú belli,
lungo il corso principale, si trovano la Chiesa Madre e la splendida
chiesa Barocca dei Santi Paolo e Bartolomeo, sfarzosamente decorata
con stucchi ed affreschi.
Facciamo la conoscenza di un negoziante del centro e gli chiediamo,
tra il serio e lironico, se ha mai pagato il pizzo alla mafia.
Ci risponde sorridendo che no, che la sua non è unattività
commerciale importante
Seduti ai tavoli allaperto di un bar del centro ordiniamo una
broscia, una sorta di panino imbottito di gelato. La gente,
passeggia, si mette in mostra, i giovani di Alcamo sono belli, alla
moda, le ragazze sfoggiano minigonne e gambe abbronzate
poche
le donne vestite di nero, tutte molto anziane, poche le coppole
in testa agli uomini. Sulla piazza principale si prepara un concerto
di musica da camera. Certo non è la Sicilia di Nuovo
cinema Paradiso.
Percorrendo una strada che attraversa un paesaggio di cave di travertino,
campi di meloni gialli e ancora vigneti raggiungiamo la punta nord
ovest della Sicilia. Ci fermiamo per un bagno a San Vito lo Capo,
un villaggio di pescatori improvvisato tra le montagne sassose e a
picco sul mare, decisamente il piú limpido e blu della Sicilia.
Tornando verso lentroterra trapanese puntiamo su Segesta, un
sito archeologico che comprende un tempio in stile dorico del V sec.
a.C., perfettamente conservato, e un anfiteatro del II sec. a.C.,
scavato nella roccia. Nonostante lo stile greco, il tempio fu costruito
da una popolazione locale (forse composta anche da profughi troiani),
gli Elimi, che probabilmente lo dedicarono alla dea della fertilitá.
La vallata che circonda la collina su cui è costruito il tempio
è intatta, latmosfera di assoluta magia. Il silenzio,
anche quello rispettoso dei pochi turisti, invita a sedersi, anzi
a sdraiarsi, sullo stilobate e aspettare il tramonto che, di lí
a poco, incedierá di arancione le colonne, proiettandone le
ombre lunghissime sul pavimento del vano interno.
Inesorabile il guardiano ci invita ad uscire alle 19.00, orario di
chiusura. Ma scopriamo che la serata non è finita, presso lantico
anfiteatro ci sará una rappresentazione teatrale: Ilio,
il racconto della guerra di Troia. Un piccolo autobus, inerpicandosi
su per una strada bianca ci conduce sulla cima del monte Barbaro che
a sua volta domina il tempio. Gli scavi stanno portando alla luce
un santuario del IV-V sec. a.C. L`anfiteatro ha come sfondo una valle
ampissima, una vista che lascia senza fiato.
Lo
spettacolo teatrale è interessante: un intreccio di brani della
poesia antica di Omero, Virgilio Saffo, Eschilo e quella moderna di
Dante e Brecht, esaltati da musica e danza. Una riflessione sullinutilità
delle guerre attraverso il racconto della guerra delle guerre.
La storia di Segesta, per il dominio del territorio, si scontra con
quella della rivale Selinunte, dalla parola greca selinon
ovvero prezzemolo che cresce selvatico e abbondante su
questa parte a sud della Sicilia. Il suo parco archeologico proteso
sul mare azzurrissimo, quasi al confine con la provincia di Agrigento,
ci aveva fatto prevedere una visita di due giorni. Ne rimarremo quattro.
Anticamente Selinunte fu una cittá importante e fastosa. Fondata
nella seconda metá del VII sec a.C. da coloni della vicina
Megera Hyblaea. Dopo due secoli di prosperità fu distrutta,
con una violenza rimasta leggendaria, prima da Segesta, e ancora,
dopo la prima guerra punica, da Roma.
Chilometri di spiaggia pulitissima, allinterno della riserva
naturale del fiume Belice e dune limitrofe, un parco archeologico
che non ha niente da invidiare a quello decisamente piú famoso
di Agrigento, una cittadina di abitanti ospitali e tranquilli, piccoli
bar e ristoranti animatissimi la sera. Le notti di fine estate offrono
programmazioni teatrali e compagnie di qualità. Il palco è
montato nel parco archeologico e ha per sfondo il tempio dorico illuminato.
Si rappresentano, di Luigi Pirandello, La morsa, luomo
dal fiore in bocca, e la patente. Lattore
principale, bravissimo, si chiama Giorgio Magnato. Alla fine dello
spettacolo, incalzato dal pubblico, intavola un dibattito intelligente
e raffinato sul senso del teatro difronte al dilagare della televisione.
Ultimo giorno a Selinunte. Sfogliando la parte dedicata agli spettacoli
di un quotidiano siciliano leggiamo: Orestiadi di Gibellina,
XXI edizione. Niente di strano se non si trattasse dei ruderi
di Gibellina, una cittá dellarea del fiume Belice, completamente
distrutta da un terribile terremoto nel 1968. Incuriositi ci addentriamo
in macchina verso le colline dellinterno, nei pressi dellarea
dei vigneti di Salaparuta. Salendo incontriamo pochi centri abitati,
infine solo greggi di pecore. Ci sembra strano che un festival teatrale
cosí importante sia confinato in tale deserto,
finalmente scorgiamo i ruderi della cittá, assolutamente spettrale
e inquietante, non ci sono lampioni, insegne, niente di niente se
non case distrutte, neanche un cartello che suggerisca lesistenza
di un festival. Finalmente compare un ragazzo che ci fa cenno di parcheggiare.
Saliamo un dirupo e scorgiamo un bar improvvisato, si arrostiscono
delle salsicce, si vendono panini, ci sono dei tavoli. Da lí
a pochi minuti cominceranno ad arrivare alcuni autobus pieni di gente.
La cittá che sembrava abitata solo dai fantasmi dei suoi morti
si anima di pubblico, alcuni sono vestiti elegantemente. Si rappresenta
lEdipo Re. Uno spettacolo itinerante per le strade della cittá
dei morti, suggestivo, di ottimo livello teatrale.
Infine, una Sicilia che sorprende, usa i suoi miti, ne trae spunto
per creare nuova cultura, per intrattenersi e per intrattenere.