Lettera ad un amico scomparso
Enzo D'Alconzo
Carissimo
Tonino, mi hai preso per mano, studente ignaro che, come te, risaliva
la penisola con la mente affollata di progetti e di speranze in quel
lontano 1958.
Identico il punto di partenza, Ginosa, nostro paese natale sul lembo
estremo della Puglia, che tu hai sempre amato.
Identico quello di arrivo, Padova, città accogliente, ricca
di fermenti culturali, che ci ha formato.
Tu, più anziano, mi avevi preceduto di qualche anno e la strada
in salita l’avevi già percorsa : con grande generosità
mi hai guidato ed aiutato a superare ostacoli e correggere errori
come un fratello maggiore (quale tu sei stato per me) fa col fratello
minore, inesperto e titubante.
Tu gioivi nel dare più che nel ricevere.
Come ha scritto un amico comune, hai scommesso anche su di me, incurante
di esporti a possibili commenti ingenerosi nell’introdurre nella
società patavina un ragazzo modesto dal tipico accento meridionale,
forse impacciato nell’ affrontare quella esperienza desiderata
ma impegnativa di confronto con una società completamente diversa
da quella in cui era vissuto.
Mi hai trasferito il tuo amore per la musica, il cinema ed il teatro,
che grazie a te ho potuto coltivare, ma soprattutto la tua voglia
di vivere, la fiducia negli altri, la considerazione per gli umili.
Hai sempre posseduto, più di ogni altro, la capacità
di instaurare rapporti con i giovani, interpretandone le esigenze
ed incoraggiandoli a non rinunciare mai ai sogni e ad essere sempre
se stessi (l’ hai fatto anche con i miei figli).
Forse ciò era possibile perché conservavi ancora la
genuinità della tua prima giovinezza burrascosa e disordinata
che ha influenzato il resto della tua vita : non sei mai invecchiato,
hai sempre rifiutato vincoli e condizionamenti, hai sempre sognato
un mondo diverso.
La tua ansia di conoscenza ti ha portato in giro per il mondo, offrendoti
la possibilità di allacciare sempre nuovi rapporti, come la
tua indole desiderava.
Eri soddisfatto della tua realizzazione, ma le tue radici erano saldamente
ancorate alla terra “matrigna” che tanto poco ti ha capito:
tu tornavi puntualmente, quasi ogni estate, a rincontrare vecchi amici
e parenti ed a rinverdire ricordi mai sopiti, riscoprendo sapori e
profumi antichi.
Quest’ultima estate, però, ti ho aspettato invano; problemi
di salute facevano rinviare la tua partenza, finché un giorno,
per telefono, mi hai sbattuto in faccia la verità appena appresa
dai medici: Ho un tumore, mi hai detto con voce ferma e senza molti
preamboli.Qualche attimo di smarrimento da parte mia e poi ho ribattuto
: Non mollare,devi curarti.
Ma tu, già conscio della gravità del tuo male, hai rifiutato
ogni illusione di cure palliative ed hai accettato con estremo coraggio
e dignità la tua fine.
Scartata anche la speranza di riportarti in Italia, sono venuto a
Rio per l’ultimo doloroso abbraccio ed ancora una volta, mi
hai insegnato qualcosa: alla fine si accetta la vita per quella che
è.
In quel momento l’orologio si è fermato.