NH Giorgio Baffo, Senatore
della Serenissima, Maestro di Casanova, Splendido cantore lirico della
"mona"
Franco
Vicenzotti
Chi
sbuca, venendo da Piazza San Marco a Venezia, in campo San Lio si
trova di fronte uno splendido palazzo di perfette dimensioni rinascimentali:
Palazzo Baffo.
Avvicinandosi alla facciata, il nostro turista noterà due lapidi
commemorative: a sinistra si afferma che In questo nobile Palazzo
dimorò nel 1861 il padre della narrativa italiana A.Manzoni,
a destra che Questa fu la magione del più grande poeta
libertino veneziano Giorgio Baffo, firmato G. Apollinaire, autore
celeberrimo delle undici mila verghe. La reazione del
nostro turista quasi sempre ricorda il manzoniano Carneade,
chi era costui ?!; in effetti cè stata una rimozione
nella storia della letteratura italiana caratte-rizzata da un miscuglio
di accademismo opportunista, conservatorismo cattolico, esaltazione
dei cosìddetti valori positivi per una letteratura nazional
- popolare, nei confronti di una tradizione poetica vitale, sanguigna,
pagana che nonostante presenti illustri precedenti nella letteratura
latina (Marziale, Giovenale, Ovidio, Catullo, ecc), sembra voler relegare
negli enfers delle biblioteche italiane autori di eccezionale
valore poetico come G. Tempio, grandissimo poeta erotico siciliano,
i dubbi amorosi di Pietro Aretino di cui peraltro
non può cancellare la memoria immortale o appunto il Nostro
grandissimo Giorgio Baffo.
I nostri critici ipocriti e gli storici opportunisti della letteratura
che a fatica accettano di iscrivere nel Panteon letterario
nazionale Cecco Angiolieri (Si fossi Cecco come io sono
e fui, donne belle e leggiadre torrei, vecchie e laide lasserei altrui),
e con le ricordate limitazioni, Pietro Aretino, nonché il romano
Gioacchino Belli, si ritraggono, come verginelle impaurite di fronte
alla terrena, sapida, materiale poesia del Tempio e del Baffo, entrambi
inneggianti alle esigenze del corpo e soprattutto delloggetto
del desiderio e del piacere sessuale: la mona appunto.
Nella più pura tradizione epicurea il Nostro si presenta come
un poeta, che ha fondá la so scrittura sulla lezze de
natura* una legge che rivendica, in primo luogo la centralità
dei beni reali ( lfotter elmagnar
erano in cima alla lista) contro quei tanti beni dopinion
che se pol dir più tosto tanti mal.
Tra i beni dopinionpoteva trovar posto la stessa
cultura: i studi porta pena e suggizion, e i omeni xe al fin
tanti coccali**, co tutte le so gran meditazion e la cultura
e la riflessione filosofica e politica non hanno impedito la nascita
di società infelici e ingiuste mentre anticamente, i buoni
selvaggi di roussoiana memoria, integri da elucubrazioni intellettuali
vivevano felici ed in pace ( oh! Benedetta paze che se godeva
in quella union dove che tutto gera in comunion, chi xe
sta el buzzaron***, che ha introdotto el too, e lmio?)
dove si evince chiaramente linfluenza delle teorie roussoiane,
ma anche - incredibile apertura mentale di un Grande della Serenissima
delle teorie egualitarie del millenarismo comunista cristiano
e del socialismo premarxista.
La lezze de natura ovviamente si rifá al messaggio
epicureo influenza evidente nel Baffo quando afferma che Dio
non sha curá mai de pensar alle cosse dei miseri mortai,
e alle cause seconde El lassa far.
Pertanto, go più rason pensar non ghe sia Dio, che de
creder quel che dise i frati, e i preti, un Dio pien de bassezze,
e de difetti, che nellopere soe xe inferocio. Di qui in
invito alla lotta contro i bigotti e il clero: liberemo alla
fin de sta tortura la nostra miserabile natura, lá tutto xe
impostura, perché affligger el corpo e anca la mente se dopo
morte non ghe xe più gnente?, vivemo quietamente
con quella libertà chemo sortio dal cieco caso che si
chiama Dio. Chi ha letto il De rerum natura di Lucrezio,
riconosce immediata-mente limmagine poi esplicitata scientificamente
in Le cas et la nécessité, dal grandissimo
biologo, premio Nobel, Jacques Monod.
Sembra di rileggere limmortale Orazio ***** Tu ne quaesieris
scire nefas, quem mihi, quem tibi finen di dederint Leuconoe
.carpe
diem, minime quae potes, credula postero splendidamente rivisitato
da Robert Browning: ****** Live today for today is life, the
very life of life; for tomorrow is a dream, yesterday but a memory;
but today well lived will make tomorrow a dream of hope, yesterday
a memory of joy.
Per concludere sintetizzando il pensiero poetico di questo philosophe
libertin, riportiamo questi suoi versi che presentano il suo
testamento spirituale: Perché sappiè (donne) che
come è fatto il giazzo per refrescarne e per magnar el pan,
cussi la mona è fatta par el cazzo.
Giorgio Baffo visse in totale coerenza con le sue idee: non volle
mai sposarsi affermando che era vergognoso da parte di un uomo far
felice una sola donna quando poteva farne felici almeno mille e morì
in età avanzata nel 1768 in totale povertà, avendo dissipato
la cospicua fortuna familiare al gioco e naturalmente
con le numerosissime amiche ed amanti, come conveniva ad un perfetto
poeta libertino per cui il piacere e la libertà rappresentavano
il valore assoluto, allinsegna del ******* Fais çe
que voudras di rabelaisiana memoria.
Le più di 760 composizioni poetiche di Giorgio Baffo, accanto
ai sonetti del romano Gioacchino Belli, alla produzione poetica del
meneghino Carlo Porta, e del misconosciuto - ancorché grande
poeta siciliano G. Tempio rappresentano leccellenza nella
tradizione poetica dialettale italiana, o forse sarebbe meglio dire
- tout court italiana.