Emanuele Severino:
la filosofia dell'essere
Por Angelo Vannuci
Il pensiero di Emanuele
Severino va necessariamente inquadrato in un contesto storico-culturale,
la cui espressione filosofica può essere definita l’indebolimento
dell’essere. Il modo di produzione capitalistico ha caratterizzato
gli ultimi decenni del XX secolo a livello mondiale, senza alcun limite
che ne frenasse i meccanismi. Questo scenario è caratterizzato
da alcuni elementi: il sistema economico-sociale pianifi cato dei
paesi del socialismo reale non si è rivelato un’alternativa;
all’interno del sistema capitalistico è crollato qualsiasi
tipo di riformismo a tal punto che si è giunti all’accettazione
della realtà così com’è; nel sistema capitalistico
il politico è diventato subalterno, con la relativa perdita
di autonomia, all’economico; non si sono sviluppati antagonismi
socialitali da metterne in discussione l’intero assetto.
Se noi traduciamo ciò
in ambito culturale possiamo parlare di arretramento della razionalità,
di abdicazione della ragione, dell’impotenza del pensiero. Di
conseguenza vivere una realtà in cui non figuri la progettuali
tà umana è vivere quello sub specie philosophiae si
defi nisce “nulla”. In altri termini viviamo in un’epoca
che ha perduto il senso dell’essere, caratterizzandosi come
subalterna alla logica del profitto e alla sua tecnologia. Severino
trova la forza di ripensare i connotati ontologici e logici dell’essere,
in base al principio di non contraddizione, e si inserisce nel dibattito
iniziato da Heidegger, con la differenza che propone un ritorno al
pensiero di Parmenide. E’ la metafisica della filosofia classica
il nodo da sciogliere: la contraddizione tra l’essere e il non
essere o divenire. L’errore enorme dell’Occidente è
stato l’abbandono dell’assunto parmenideo per il quale
solo l’essere è e come tale può essere pensato
e definito. Con l’introduzione del divenire nel pensiero e nella
storia, l’Occidente si è ritrovato in un cul de sacche
ha portato al dominio della ragione e della tecnica. Dunque ritornare
a Parmenide. “L’essere è, il non-essere (il nulla)
non è”: la frase depositaria di una verità originaria
dalla quale l’uomo occidentale si è allontanato, introducendo
l’oscillazione delle cose tra l’essere e il niente. Severino
nega l’esistenza stessa del divenire. L’essere e il nulla
sono opposti in senso assoluto e l’essere è sempre e
il nulla non è sempre: se l’essere è sempre, è
impossibile in tal caso che possa esistere il nulla, in quanto l’essere
vi si oppone sempre e in eterno. Da ciò deriva che tutto ciò
che esiste è eterno, non può degradarsi e perire, come
non può scaturire dal nulla. La filosofia occidentale ha la
necessità di salvaguardare l’essere davanti alla visibilità
del divenire, che implica che l’essere, ad un certo punto del
suo procedere, non sia più; infatti se le cose cambiano esiste
un momento in cui, per diventare un altro essere, devono necessariamente
cessare di essere un determinato essere, una determinata cosa. Il
“parricidio” di Platone è funzionale al salvamento
del divenire: Platone afferma che ciò che muta non è
l’essere assoluto, ma qualcosa che è diverso da esso,
cioè le cose sensibili, il mondo empirico, transeunte e corruttibile,
mentre l’immutabilità e l’incorruttibilità
spetta alle idee, al mondo delle idee. Anche Aristotele dice che le
cose sono fintanto che sono, e non sono quando non sono più
e dunque non è necessario che l’essere sia eterno. Qui
sta il problema: la filosofia si fonda sull’equivoco che l’essere
è visto come qualcosa che può cadere nel nulla e questa
nullifi cazione è l’essenza del nichilismo occidentale.
Anche Parmenide tuttavia articola un ragionamento che sembra contraddire
la verità suprema dell’essere. Per salvaguardare infatti
l’immutabilità dell’essere, afferma che il mutamento
del mondo sensibile che ci è visibile non è verità
e che gli enti sensibili non sono l’essere, ma sue determinazioni,
soltanto “nomi”.
Su queste premesse
si basa il pensiero di Severino che si struttura in tre punti fondamentali:
l’abbandono dell’essere parmenideo e la scelta del divenire
determinano nell’uomo un sentimento di angoscia di fronte al
nulla, e dunque di bisogno dell’essere; l’uomo per difendersi
dal divenire costruisce entità, cioè Dio e valori (etici,
naturali) trascendenti e permanenti; l’epistéme, l’essenza
della filosofia, è la volontà di conoscere la verità
del mondo. Come per Parmenide l’epistéme, e non la doxa,
fonda stabilmente il sapere e tutta l’immutabilità viene
ereditata dalla fede cristiana. Sulla necessità o meno del
trascendente, Severino si distacca dal suo maestro Bontadini perché
per quest’ultimo il mondo è dominato dal divenire e allora
Dio è l’unico modo per ammettere qualcosa di eterno,
mentre per Severino se nel mondo non c’è il divenire,
cade la necessità di un ente trascendente e il mondo stesso
che ci appare è eterno e, poiché la totalità
dell’essere è la totalità dell’esistente,
non c’è niente al di fuori di esso; inoltre, in questa
prospettiva tutti gli enti sono assoluti e immutabili, e dunque uguali:
ciò per la Chiesa è inaccettabile perché solo
Dio è eterno.
Gli uomini hanno sempre
avuto sete di dominio e sono convinti che la potenza vinca il dolore
e la morte. La tecnica, l’arte, la religione, la filosofia sono
gli espedienti escogitati dall’uomo per aumentare la sua potenza.
In particolare, la tecnologia , cioè la scienza e la sua applicazione
pratica, è il mezzo più potente per trasformare il mondo;
la filosofia, nel cercare la totalità dell’essere, ha
dapprima affermato l’esistenza di Dio, qualcosa che domina ma
che non può essere dominato dall’uomo; poi la filosofia
della nostra epoca ha mostrato che non può esistere un Dio
immutabile ed eterno.
In questo senso il cristianesimo va incontro allo stesso destino della
filosofia, senza nemmeno avere lo spirito critico con cui la filosofia
cerca di giustifi care la necessità di una difesa immutabile.
Però ciò che è immutabile, vale a dire Dio e
i valori, nel controllare il divenire, finiscono per soffocare la
volontà di vivere e di esistere. Ecco la ricerca della salvezza
nella scienza e nella tecnica e se questo è vero la filosofia
è destinata inevitabilmente a dissolversi nello scientismo,
perché essa stessa fi losofi a nega e distrugge ciò
che è immutabile. Qui Severino si trova in sintonia con Heidegger
che affermava che la filosofia è alla fine, si dissolve nelle
singole scienze e che solo un dio ci può salvare.
Dunque l’aver
abbandonato Parmenide è la follia dell’Occidente, una
tenebra che ha coinvolto cultura, politica e società. E la
nostra civiltà ha evocato ciò che la domina e la può
distruggere: come Dio ha creato il mondo ex nihilo e può nullifi
carlo, così oggi la tecnica ricrea il mondo e può distruggerlo:
dunque è necessario il rimedio contro l’angoscia del
nulla. Sulla scia di Nietzsche, Severino sostiene non solo che non
può esistere alcun Dio eterno e immutabile, ma che il divenire
non è un percorso rettilineo e irreversibile, ma un circolo,
un eterno ritorno e in tal modo afferma che tutto è eterno,
uomini, cose, ogni momento della nostra esistenza, e quindi niente
scompare e niente muore: è questo il rimedio, cioè l’apparire
eterno di tutte le cose e la morte è la stessa manifestazione
di tutti gli eterni, è una parte del nostro esistere, ed è
una condizione necessaria della felicità. Noi – sostiene
il fiosofo – siamo destinati alla felicità, come mezzo
e fine dell’oltrepassamento di tutte le contraddizioni: dopo
il tramonto della vita e della morte, della volontà e dell’inettitudine,
c’è la felicità. Allora Dio non è quello
trascendente ma è la manifestazione degli eterni, il suo apparire.
E’ vero che in tal modo Severino mette in soffitta Dio e la
Metafisica, ma il vuoto è riempito dalla Verità: “la
Verità prende il posto di Dio, che è rimedio dell’angoscia
contro il nulla”.
Per concludere: se
la scienza e la tecnica oggi dominano il mondo si può dunque
sostenere che essa è l’ultima forma di sapere in grado
di salvare l’uomo dalla paura della morte intesa come distruzione
del proprio essere? Severino risponde di no perché anche se
così fosse l’uomo avrebbe sempre paura di perdere questa
condizione di salvezza, in considerazione del fatto che non esiste
alcuna legge immutabile nel metodo scientifi coche garantisca agli
uomini un rimedio per sempre alla paura della distruzione di sé.
Solo la filosofia, intesa come autentica rifl essione sul senso del
divenire ( e dell’essere), potrà fornire la risposta
defi nitiva alle paure degli uomini, una volta liberati dalla paura
del rimedio. E questo avverrà quandoavranno compreso che la
paura della propria distruzione non ha ragione d’essere né
fondamento alcuno: l’essere non può divenire un nulla.
Il loro destino è quello di accogliere dentro di sé
lo spettacolo degli eventi, in questa o in altre dimensioni. Gli uomini
sono obbligati dalla legge dell’essere ad esistere in eterno.