Teatro, che passione!

Mozilene Neri, Simone Carrano e Weverton Pereira

Nel momento in cui festeggia i 60 anni di carriera, l’attore e regista teatrale Sérgio Britto lascia, sul palco del Teatro Municipal di Rio de Janeiro, la
sua impronta digitale con il Macbeth, opera ispirata alla pièce omonima di William Shakespeare. In intervista a Comunità, parla della direzione di questo spet- tacolo pieno di fi gure notturne e visioni, oltre alle altre opere che
ha diretto e del suo lavoro come attore nella pièce su Jung.
Vorremmo sapere qualcosa della sua attività come attore nella pièce messa in scena su Jung al Centro Cultural Banco do Brasil
Britto: Fare Jung, fare Leonardo Svoba, sono esercizi fantastici. Penso di non aver mai fatto una cosa così diffi cile in vita mia, anche se ho già lavorato a testi teatrali molto importanti. Ho messo in scena tutti i grandi attori possibili, ma la verità è in questo caso ci sono due cose diffi cili:
fare Jung, riuscire a tradurre in parole comprensibili affi nché non risultasse in una lezione pesantissima sulla teoria junghiana e, allo stesso tempo, fare questa variazione. In un certo momento, anzi, in vari momenti, loro si par-
lano e io sono uno solo, quindi il gioco arriva ad un momento di grande gioco di prestigio. Ci vuole una tensione per rappresentare questo, non ne hai idea. Tutti i giorni, vengo qui presto e comincio a ripassare tutto il testo
prima della pièce. È una cosa che non ha fuga. È complicato, tecnicamente e sensibilmente, perché sono due energie e devo spostarmi da una parte all’altra.
In poche parole o in modo essenziale, come Lei spiegherebbe la sua messa in scena del Macbeth?
Britto:
Cominciamo a pensare alla storia del Macbeth per fare uno spettacolo che uscisse dal reale, che fosse un po’ sogno esteticamente e teatralmente. Un sogno si avvicina molto all’idea dell’espressionismo e que-
sta sarebbe l’idea perfetta per fare il Macbeth che noi vorremmo. È successa una cosa molto positiva e che ha funzionato bene, ed è stata la presenza di dueattori neri che facevano una specie di demoni. È stato un buon esercizio, un buon lavoro da fare. Abbiamo cercato di fare cose diverse e per questo abbiamo visto sette versioni di questo spettacolo, e veramente delle cose sono diventate ben differenti.
Le sculture mostruose e il balletto sono stati i pezzi forti della sua direzione del Macbeth. Ce ne parli un po’.
Britto
: Quella delle sculture mostruose è stata un’idea che ho avuto subito all’inizio. Penso abbia funzionato bene, l’idea è stata così chiara in me che non ho dovuto improvvisare. Al contrario, questi mostri hanno funzionato così bene che ho cominciato ad usarli di più. Diventa vano una specie di apparizione al terzo atto, (erano) gli uomini che portavano le cose, attraevano le streghe, portavano il trono, coronavano Macbeth e Lady Macbeth. I mostri sono divenuti un prolungamento delle streghe, una continuazione in un altro piano, un piano più diabolico. Insieme al balletto, i mostri sono stati molto importanti perme, visto che questo balletto viene raramente eseguito in tutto il mondo, ma il nostro amico Silvio Barbato, direttore d’orchestra del Teatro Municipal, voleva fare un Macbeth intero, senza un taglio, e il balletto è diventato un momento importantissimo. Fabio de Mello, che abbiamo chiamato per fare la coreografi a, è geniale, ha grandi idee. Ha preso i mostri, che saltavano in aria, reggevano le ballerine, li ha messi insieme al balletto classico, mescolando meravigliosamente. E questo miscuglio è stato una delle ricchezze dello spettacolo.
I cantanti d’opera cominciano a capire meglio il loro ruolo o ancora interpretano soltanto con la voce e dimenticano la cosiddetta dimensione teatrale?
Britto:
Anticamente, i cantanti d’opera non provavano e nean-
che interpretavano, visto che fi no ad allora non esisteva la regia d’opera. Soltanto verso al metà del secolo scorso, con l’arrivo di opere americane, produzioni di Wagner, si è potuta osservare la presenza della regia. Il mondo dell’opera comin-ciava a cambiare. Tra i cantanti responsabili per questo cambiamento possiamo dare risalto a Maria Calans, che oltre ad avere una voce ed una tecnica eccezionali, aveva il temperamento dell’artista: quando rappresentava una pièce si lanciava come attrice. Oggigiorno, la maggior parte dei cantanti cercano di seguire la direzione, ma malgrado questo quasi sempre si dimenticano della dimensione teatrale.
Qual è la maggior diffi coltà di mettere in scena una pièce? In quanti piani deve agire il regista?
Britto:
Trovare cantanti che abbiano potenza vocale per i ruoli e, allo stesso tempo, siano attori intelligenti e con voglia di mettere in scena veramente e non soltanto fare i personaggi così come viene. Alcuni dei piani in cui il regista deve agire è [sic] sui personaggi, dei cantanti, dei protagonisti, del coro. Lavorare col coro è una delle cose basiche dell’opera. In Macbeth, la presenza del coro è la più importante, visto che è un’opinione globale
in un mondo che si rivela, un paese, una corte, un villaggio. Ilpassa oltre al banale e allo psicologico, rompe qualche barriera della realtà immediata, e questo è ottimo.
Sembra interessante che la sua direzione non agisca o disturbi il nucleo drammatico dell’opera. Dall’altro lato, la sua impronta digitale è molto nitida negli atti che dirige, come Carmen, Traviata o O Guarani.
Britto:
L’opera in cui ho osato di più è stata la Traviata, era la pri-
ma opera che dirigevo e ho fatto quello che volevo. Ho trasforma-
to la Traviata in un delirio fi nale e questo delirio conduce tutta l’opera. Quest’opera è stata commentata molto, non ho mai visto un’opera che ha trenta critiche. A Rio de Janeiro, un’opera riceve due o tre critiche, ma di questa hanno parlato tutti. C’è stata gente che mi ha chiamato pazzo, altri hanno detto con non rispettavo l’opera e altri l’hanno trovata molto buona, anche la critica straniera. È un’esperienza molto buona e mi piace molto dirigere opera.

 

Tradotto da Cristiana Cocco

 


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