Dio, la Poesia, il Silenzio

Armindo Trevisan è un poeta sorprendente, la cui opera sembra iscrivere tutte le province e paesi dell’umano. Una cultura vastissima e un modo di fare fine e delicato, spesso e profondo di affermare le forme dell’irraggiungibile adesso. Fra i maggiori poeti contemporanei in lingua portoghese, Armindo sfodera un’affabilità senza pari. Fra quelli che si muovono perplessi di fronte all’incomprensibile moltitudine delle cose visibili. Da cui scaturisce la bellezza della sua poesia e del silenzio più profondo in cui fluttua.
1. In che modo la letteratura e la cultura si fanno presenti nella sua vita, a partire dalle sue radici, scelte e progetti?
AT. Nell’infanzia non posso dire di aver subito influenze culturali italiane. I miei nonni, di origine veneta, non si erano portati dietro nessun bagaglio culturale. Erano agricoltori e sapevano a malapena leggere e scrivere. Anche i miei genitori, ormai brasiliani, avevano frequentato la scuola soltanto fino alla quarta elementare. Gli unici libri in lingua italiana a cui ho avuto accesso sono stati il Nuovo Testamento, qualche libro di devozione, la vita dei santi. Ma c’era un qualcosa che si caricava sulle spalle tutta la cultura italiana: la Liturgia, con i suoi testi di incredibile poesia e i suoi riti. Il bambino, che ero io, è entrato all’improvviso in una specie di ‘Grotta di Alì Babà’, dove c’erano tesori dappertutto.
La mia vocazione poetica è ‘nata’ in questa culla d’oro della sensibilità cristiana occidentale. Fino ad oggi, come anche il mio geniale compatriota Simões Lopes Neto, considero il ‘Salve Regina’ uno dei più commoventi poemi religiosi, un poema d’amore di altissimo livello. È successo che, a 10 anni, sono entrato nel seminario di una Società di Religiosi fondata da un santo italiano, Vicente Pallotti. Lì, con l’orientamento di colti sacerdoti, quasi tutti laureati e col dottorato fatto in Italia, sono stato introdotto alla Cultura Italiana, diciamo, ‘ufficiale’. Ho imparato l’italiano (perché i miei genitori non mi avevano permesso di imparare il dialetto veneto, che loro stessi parlavano, perché eravamo in tempo di guerra, e l’esaltato nazionalismo dell’ Estado Novo non lo tollerava).
Capisco ancora oggi il dialetto veneto. Il grande vantaggio di non parlarlo è stato quello di rimanere ancor più incantato con la lingua italiana, che parlo male fino a oggi, ma che capisco bene e che assaporo meglio. Nel Seminario ho cominciato a scoprire i grandi autori cristiani, Dante, Manzoni … ed altri. In classe, leggevamo a voce alta “I Promessi Sposi”, che recentemente ho riletto. Dante sarebbe diventato uno dei miei autori prediletti, di questi autori che non si finisce mai di leggere, che si rileggono come se si leggessero sempre per la prima volta. Ma devo aggiungere che nel 1958 sono andato in Svizzera per fare il mio dottorato in filosofia. Siccome adoravo l’Italia, ho passato – dal 1958 al 1963 – quasi tutte le mie vacanze in Italia. È stato allora che ho scoperto Cimabue, Giotto, Duccio , Martini, i geni rinascimentali, i pittori e scultori barocchi… quante cose, Dio mio! E pure la grande arte e la grande letteratura moderne e contemporanee, specialmente la generazione di Saba, Ungaretti e Montale… che meraviglia! È logico che, dopo tutto questo, non ho più smesso di frequentare gli autori italiani, dai più antichi come Francesco d’Assisi (il cui “ Cantico di Frate Sole” ho tradotto in portoghese), Jacopone da Todi, Cavalcanti, Petrarca ecc. fino ai più attuali. Sono sempre alla scoperta di grandi autori. Uno degli ultimi che ho scoperto è stato Giovanni Verga che, letteralmente, mi ha spaventato!... E’ uno dei più grandi geni della letteratura mondiale. Posso dire che seguo con passione la letteratura italiana, malgrado non possa dire di conoscere gli autori superattuali. Sono sempre un po’ in ritardo rispetto alle novità, perché mi interessano di più i classici, quelli nei quali presento il classicismo che li renderà autori obbligatori.
2. La sua poesia è stata tradotta in qualche paese, tra cui l’Italia, dove Brunello De Cusatis ne ha fatto versioni accurate. Come è stata questa esperienza di vedere i suoi poemi con un’altra sonorità linguistica?
AT. Ho avuto la fortuna di avere un traduttore serio e di talento come il Prof. De Cusatis. Non ci dimentichiamo che lui ha anche tradotto Antero de Quental e Fernando Pessoa. È stato un lavoro appassionante, ma difficile. Il Prof. De Cusatis ha tenuto le lettere che ci siamo scambiati durante la traduzione. Ciò che mi è rimasto di più rilevante da quest’ esperienza è stata la curiosa sensazione di sembrarmi che, tradotta in italiano, la mia poesia diventava un’altra, cioè, era come se fosse di un altro autore. Senza volerlo, ho avuto un’esperienza, fino ad un certo punto, pessoana : quella di avere un eteronimo! Succede che una lingua è un qualcosa di molto serio, è una creazione collettiva, ed è necessario nascerci dentro per essere cittadino a tutti gli effetti. È chiaro che ho fornito sussidi al traduttore, che gli ho suggerito soluzioni e ho perfino creato metafore originali. Ma, in generale, la poesia tradotta è anche la poesia del traduttore, è una poesia fra coautori. Per questo, ogni nuovo traduttore può creare nuove poesie con quelle originali dell’autore tradotto. È una cosa complessa che qualcuno, molto saggio e mordace, ha chiamato tradimento: traduttore-traditore! Il poeta pensa e soprattutto sente in un determinato contesto linguistico e culturale. È il suo DNA culturale. È inutile voler universalizzare il DNA. Non si può. Ma bisogna sapere se c’è rigetto immunitario da parte dell’altra lingua, quella del … traduttore! Esiste traduzione soltanto quando c’è un caso d’amore tra la poesia e il traduttore. Se non c’è un caso d’amore, è meglio neanche avvicinarsi alla poesia. Ma, malgrado questo, bisogna che ci sia un minimo di umiltà da parte dell’autore e del traduttore. Ambedue dovranno ammettere i loro deficit… Non esiste la traduzione perfetta. Quello che può esistere sono traduzioni migliori del poema originale perché, eventualmente, il traduttore supera il tradotto! Come si può notare, è più prudente starsene seduti agli ultimi posti, secondo il consiglio dato da Gesù a proposito degli inviti ai banchetti… In un certo senso, partecipare alla traduzione dei miei poemi in italiano è stato come fare nuove poesie, senza l’angoscia di doverli fare per la prima volta!

3. Nella sua poesia esiste una forte dimensione mistica e sensuale, ambedue intrecciate e riconquistate con nuovi orizzonti di significati. I suoi poemi potrebbero essere considerati echi del “Cantico dei Cantici” o del lirismo spirituale di San Giovanni della Croce?
AT. Mi piacerebbe che arrivassero a tanto. Purtroppo non sono un mistico. Sono un individuo che rispetta, ammira e ama i mistici e il loro misticismo. Il mistico, anche se passa dalla “Notte Scura”, ha il privilegio di passare, anche, dalla “Notte Illuminata” di speciali rivelazioni. Io appartengo a quei beati di Gesù, che quasi sempre hanno la tendenza a considerarsi non beati, contrariando lo stesso Gesù. Sono coloro che non hanno visto e hanno creduto. Il problema è che la nostra fede è limitata, è grande come una… capocchia di spillo! È per questo che, in fondo a noi stessi, non ci consideriamo fortunati… Parlo di me stesso. In fondo, mi piacerebbe vedere, ascoltare, toccare … Ecco il vero problema. Aderire totalmente a Cristo significa rimanere soltanto nella fede, senza lamentarsi di niente. Siccome sono un brontolone, ho una fede precaria. Chiedo continuamente a Dio che faccia diventare piccola come un chicco di mostarda la mia fede, senza il potere di rimuovere montagne, è chiaro! Secondo me, il maggior miracolo è avere fede. Mi basta questo, come oltretutto Cristo lasciò ben chiaro. I mistici hanno fede, senza dubbio, ma inoltre vedono, ascoltano, toccano. Pensate a San Francesco di Assisi o a San Giovanni della Croce. Per questo la mia poesia non ha la loro “purezza” e neanche la loro forza. La mia poesia, l’erotica e la “mistica”, è poesia di un povero uomo, di un tipo che si alza presto tutte le mattine e dice a Dio: “Io credo, Signore, ma aiutami nella mia mancanza di fede!” Anche per questo la mia poesia è erotica. I mistici non hanno bisogno della memoria e del desiderio corporale perché vivono per anticipazione lo stato glorioso in cui gli uomini non avranno più relazioni sessuali, perché l’amore non sarà così fragile come in questo mondo.

4. Dio nella sua vita è una passione di infinito o un’aporia?
AT. Parlare di Dio è concesso soltanto all’uomo con un atto di Speranza. San Giovanni dice: “Nessuno ha mai visto Dio”. Tutto ciò che sappiamo di Lui è frutto di una Rivelazione. È vero che Paolo dice, nella Lettera ai Romani, nel primo capitolo, che Dio è accessibile all’intelligenza umana per mezzo delle sue opere: “Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità; essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa.” Quante volte ho meditato su questo, visto che si tratta di una interrogazione gravissima agli ‘intellettuali’ di questo mondo. Non si può fingere che la Rivelazione non ha parlato di questo. Il Cristianesimo non può adagiarsi quando si tratta di un’affermazione così acuta! Come capirla, visto che sono tanti i ‘colti’ che dicono di non ammettere l’esistenza di Dio? Sarà che loro non confondono ciò che molta gente pensa che sia Dio con ciò che una ragione responsabile può arrivare a capire di Dio? Penso che un cristiano debba parlare di Dio soltanto a partire da ciò che Gesù gli ha insegnato. Lui è Amore, Lui è Buono, Lui perdona, Lui è sapientissimo. Lui è Gentilissimo, giacché bada ai gigli del campo e agli uccelli del cielo… e fa cadere la pioggia e brillare il sole su buoni e cattivi! Naturalmente, tutto questo è oggetto di fede… Ora, e se io non avessi fede? Beh… forse rimarrei in silenzio, l’unica attitudine di un agnostico che non mi sembri arrogante o, come dice la Bibbia, insensata.
5. Quali sono i suoi attuali interessi nel campo della creazione?
AT. Una volta ho letto che Philip Larkin, un poeta inglese, confessava di scrivere soltanto tre poesie all’anno negli ultimi tempi… Mi trovo ad una media di questo tipo. Penso ci sia tempo per scrivere poemi, e tempo di leggere poemi o perfino di vivere poemi senza scriverli. È possibile che io mi trovi in questo tempo! Quando mi viene il desiderio di comunicare attraverso la poesia, scrivo poemi. Mi piace anche scrivere prosa. Questa mi obbliga a fare attenzione all’intelligenza, alla comunicazione col pubblico, a riflettere sulle cose importanti. In particolare, il saggio risveglia in me il piacere di scrivere. Eppoi, perché scrivere se non abbiamo un qualcosa di speciale da dire? È molto più appassionante leggere oppure, nel mio caso, ascoltare musica classica.
Mozart, Haydn, Beethoven, Boccherini, in certi momenti Bach, e altri, come Fernando Sor, Mauro Giuliani...

Artigo originalmente em português, traduzido por Cristiana Cocco Carvalho


 

 


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