Il coraggio dello
sfarzo
Francesco Fava
Per parlare del cinema
italiano odierno ho scelto di discutere l’argomento con quattro
giovani romani che si occupano, ciascuno in modo diverso, di ci-
nema. Francesco Di Giorgio, 27 anni, è regista di cortome traggi,
ha partecipato a numerosi festival e lavora come montatore e operatore;
Luca
Cruciani, 25 anni, si sta laureando in Storia del Cinema all’Università
La Sapienza di Roma e ha recitato in alcuni film e serie televisive;
France-
sco Giulioli, 27 anni, lavora come sceneggiatore per la televisione
ed è dottorando in Letteratura Angloamericana; Andrea Sanguigni,
33 anni,
scrive per riviste di cinema ed è anche lui autore di cortometraggi,
alcuni dei quali realizzati insieme a Francesco Di Giorgio.
La loro diagnosi sul passato è concorde, e parla di una crisi
che dalla fi ne degli anni ’80 si estende a tutti gli anni ’90.
Sul presente, le loro opinioni sono più varie: c’è
chi preferisce sottolineare i segnali positivi e chi invece insiste
su carenze e difetti ricorrenti. Il loro punto di vista, forse, è
troppo critico, ma trovo che abbiano ragione a lamentare una mancanza
di coraggio che porta il cinema italiano a proporre numerosi fi lm
‘carini’ ma probabilmente a sperimentare, innovare, rischiare
troppo poco. Ecco la trascrizione del loro dialogo.
Domanda: vorrei cominciare citando i versi di un
poeta brasiliano, Paulo Leminski: “Podem fi
car com a realidade/ esse baixo astral/ em que todo entra pelo cano.//
Eu quero viver de verdade/ eu fi co com o cinema ameri-
cano”. La poesia di Leminski mi suscita la domanda: qual è
la differenza tra “realtà” e “vivere per
davvero”? È la stessa che c’è tra cinema
italiano e
cinema hollywoodiano?
Di Giorgio: per me è un equivoco l’idea
che il cinema debba parlare della realtà, non è così.
E su quest’equivoco si fonda la debolezza del
cinema italiano recente, che negli ultimi 15 anni si è spesso
sentito costretto a raccontare ciò che avviene, la realtà
sociale, a manifestare un im-
pegno politico. Penso ai film di Salvatores, di Marco Risi, a Marco
Tullio Giordana.
Cruciani: io credo che fondamentalmente ci sia un
fraintendimento del neorealismo, che poi reale non era…
Sanguigni: non solo, c’è anche l’idea
che il cinema si debba ancora giustifi care, trovare una ragione che
lo nobiliti, altrimenti è una cosa fatua. Manca il coraggio
dello sfarzo, come se il cinema si dovesse ancora redimere del-
la propria esistenza.
Cruciani: le correnti che ci sono oggi nel cinema
italiano vedono da una parte chi vuole ripercorrere la commedia all’italiana,
o il neorealismo,
oppure chi si muove sulla strada di Fellini, come il Soldini di Pane
e Tulipani.
Giulioli: sì, il realismo magico…
Di Giorgio: …un realismo che poi si trasforma
in una sorta di metafi sica della provincia.
Sanguigni: sì, ma il problema è che
quella è una realtà che non esiste, una realtà
stereotipa su cui siamo tutti già d’accordo.
Di Giorgio: oltretutto, è una realtà
che spesso non è neanche vissuta, o adeguatamente conosciuta,
da chi ne parla.
Domanda: un altro aspetto da approfondire è
il modo di raccontare. A me pare che il cinema italiano abbia sempre
come sottotesto di riferimento il romanzo naturalista: è raro
che un fi lm italiano mi sorprenda per come viene raccontata la storia,
mentre invece altre cinematografi e (da Hollywood al cinema asiatico)
mi sembrano abituate a uno sperimentalismo maggiore nella modalità
del racconto.
Giulioli: sono d’accordo, sì. Rispetto
al tema “realtà”/ ”vivere per davvero”,
per esempio, la forza del cinema americano è che attinge molto
alla fi aba, o al fumetto supereroistico. I manuali di sceneggiatura
fatti negli Stati Uniti sono impostati su canoni alla Propp, ragionano
in termini di attanti, aiutanti
magici, etc.
Sanguigni: la stesura letteraria su cui si costruisce
l’immagine è importante, ma poi conta il regista. Se
pensi a una sceneggiatura di Kim-ki Duk o di Kitano, non trovi nulla
di eccezionale – la letteratura in quel caso diven-
ta più che altro un’apertura funzionale per poter immaginare.
Secondo me oggi in Italia ci sono sceneggiature ben scritte, però
non ci sono grandi registi.
Cruciani: comunque il grande cinema italiano degli
anni ’60 e ’70 è stato innanzitutto un cinema di
scrittura, basato su grandi sceneggiatori come
Age, Scarpelli, Tonino Guerra, mentre adesso… Se pensi alla
grande commedia, non è che avesse delle straordinarie idee
di regia, eppure…
Di Giorgio: ma lì faceva la differenza il
clima che si respirava, la presenza di molte personalità forti,
dagli sceneggiatori, agli attori, ai produttori.
Cruciani: oggi per una persona che conosca il cinema
prevale il gioco delle in fluenze, il fi lm si può leggere
come si legge una radiografia. Penso a Virzì, che riproduce,
anche bene, la commedia all’italiana: in un suo fi lm posso
ritrovare Germi, Monicelli, ma oltre a rintracciare le infl uenze
non trovo molto di interessante.
Giulioli: il nostro grande cinema è nato,
storicamente, guardando la realtà, introducendo parti di realtà
che non erano mai state viste al cinema, come la miseria, o le strade
vere invece degli studi di posa. Il problema è che poi la realtà
ti sorpassa… Negli anni ’40 già so lo mostrare
il bambino che raccoglie le cicche aveva un valore estetico in quanto
tale, oggi mostrare il bambino con l’iPod o il cellulare non
dice più niente. Bisognereb be, invece, porsi dal punto di
vista del linguaggio al livello dell’iPod. Assimilarlo per creare
possibilità linguistiche nuove – non usare il vecchio
modello, teatrale.
Domanda: È interessante questo discorso. Come
se ci fosse un modello, quello ereditato dal neorealismo, che col
tempo si è cristallizzato in una specie di modulo, che si ripropone
quasi automaticamente, diventando il fi ltro attraverso il quale si
guarda la realtà.
Cruciani: per un verso, a moduli preesistenti si
ricorre sempre, basti pensare alla commedia plautina. È normale
che l’arte si ispiri all’arte, ancor prima che alla realtà.
Però va anche detto che probabilmente nel cinema italiano i
modelli di riferimento sono pochi (in sostanza, due otre) e c’è
molto onformismo, quasi paura di contravvenire a una regola tacita.
Sanguigni: non solo il neorealismo, ma anche il cinema
degli anni ’50, ’60, ’70 costituisce una riserva
immensa che forse è stata compresa solo in parte, da Antonioni
a Ferreri, da Fellini a Germi…
Di Giorgio: il fatto è che nel secondo dopoguerra
c’erano tante cose da dire, un’urgenza. C’è
un percorso dal disagio, alla tranquillità, al boom, che il
cinema ha seguito passo dopo passo dalla fame degli anni ’40
alla spudoratezza di certa commedia degli anni ’80. Poi la situazione
diventa
stagnante, come se non ci fosse più molto da raccontare. Forse
la crisi economica che incombe oggi fi nirà per rivelarsi profi
cua, ci sarà bisogno
di tornare, in qualche senso, ad avere la fame.
Giulioli: il periodo a cui fai riferimento è
comunque quello di uno sviluppo, di un be, invece, porsi dal punto
di vista del linguaggio al livello dell’iPod. Assimilarlo per
creare possibilità linguistiche nuove – non usare il
vecchio modello, teatrale.
Domanda: È interessante questo discorso. Come
se ci fosse un modello, quello ereditato dal neorealismo, che col
tempo si è cristallizzato in una specie di modulo, che si ripropone
quasi automaticamente, diventando il fi ltro attraverso il quale si
guarda la realtà.
Cruciani: per un verso, a moduli preesistenti si
ricorre sempre, basti pensare alla commedia plautina. È normale
che l’arte si ispiri all’arte, ancor prima che alla realtà.
Però va anche detto che probabilmente nel cinema italiano i
modelli di riferimento sono pochi (in sostanza, due otre) e c’è
molto conformismo, quasi paura di contravvenire a una regola tacita.
Sanguigni: non solo il neorealismo, ma anche il cinema
degli anni ’50, ’60, ’70 costituisce una riserva
immensa che forse è stata compresa solo in parte, da Antonioni
a Ferreri, da Fellini a Germi…
Di Giorgio: il fatto è che nel secondo dopoguerra
c’erano tante cose da dire, un’urgenza. C’è
un percorso dal disagio, alla tranquillità, al boom, che il
cinema ha seguito passo dopo passo dalla fame degli anni ’40
alla spudoratezza di certa commedia degli anni ’80. Poi la situazione
diventa
stagnante, come se non ci fosse più molto da raccontare. Forse
la crisi economica che incombe oggi fi nirà per rivelarsi profi
cua, ci sarà bisogno
di tornare, in qualche senso, ad avere la fame.
Giulioli: il periodo a cui fai riferimento è
comunque quello di uno sviluppo, di un Cruciani: però hai nominato
forse il miglior fi lm italiano
di quest’anno… Io invece spazzerei via quelli che hanno
acquisito il mestiere del cinema come si acquisisce il posto fi sso
in banca dal padre. I fi gli d’arte, le persone che hanno sempre
vissuto in certi ambienti.
Di Giorgio: d’altra parte, va anche detto che
il nostro è tra i cinema più borghesi del mondo. Un
David Lynch che faceva il boy-scout in Montana, o Tarantino che faceva
il noleggiatore di VHS, saranno forse solo un miraggio da sogno americano,
ma a questo punto preferisco credere a
quel sogno.
Giulioli: però sei un po’ troppo apocalittico:
Garrone è pretenzioso, Sorrentino non è sincero, non
ti va bene niente…
Di Giorgio: ma sono film buoni, degni, che rispetto. Però il
cinema italiano ha una storia così ricca che credo imponga
di essere critici rispetto al presente.
Sanguigni: è giusto essere critici. Negli
ultimi 10-15 anni, abbiamo avuto un regista? Cioè un autore
che imponga un suo modo di guardare il mondo, uno che ribalti le convenzioni
dello sguardo, che ti faccia tremare…
Giulioli: Garrone io lo trovo differente dagli altri,
nei suoi film ci sono momenti di verità assoluti, dialoghi
banali ma iperrealistici o al contrario situazioni assurde che riescono
ad apparire realistiche.
Sanguigni: Vabbè, ma se Garrone dev’essere
l’esempio, siamo messi male…
Giulioli: a me Primo Amore non è piaciuto
meno dell’ultimo fi lm di Clint Eastwood.
Sanguigni: ok, ma io parlo di qualcuno che abbia
prodottouno stile, o anche solo una storia di fronte alla quale mi
chiedo: ma come gli è venuta
in mente?
Giulioli: se prendi gli ultimi fi lm di Bellocchio,
hanno qualcosa di geniale nel modo di raccontare
Sanguigni: sì, ma Bellocchio è di un’altra
generazione… Io ti sto parlando di qualcuno che è nato
negli ultimi 15 anni.
Giulioli: anche L’uomo in più, di Sorrentino,
meglio del successivo Le conseguenze dell’amore, è un
fi lm stilisticamente molto interessante,
per esempio per l’uso della colonna sonora, l’esasperazione
dell’immagine unita alla musica.
Sanguigni: ok, ma ti ha esaltato? Facciamo l’esempio
della Spagna. Se vedi Tesis, il primo fi lm di Amenábar, dici:
qui qualcuno è nato. O anche se vedi i primi lavori di Ozon,
per passare alla Francia. In Italia non trovo niente di analogo.
Domanda: Di Giorgio, prima parlavi di fi lm da cui
ti senti preso in giro. Qual è invece un fi lm italiano degli
ultimi anni da cui non ti sei sentito preso in giro?
Di Giorgio: Per me c’è stato un esempio
importante, Eros Puglielli con Dorme. Era un fi lm povero, imperfetto
ma, nel raccontarti di un ragazzino che in una qualche periferia romana
confonde i suoi sogni con l’amore, ha un pensiero, un’idea
e la voglia di esprimerla. O anche Respiro, di Emanuele Crialese,
che mette in scena alcuni ambienti popolari, un certo Sud, in modo
magico ed esoterico.
Sanguigni: Certi bambini, l’hai visto? È
un bel fi lm, di due fratelli napoletani, Antonio ed Andrea Frazzi.
Cruciani: a proposito di registi napoletani, secondo
me unfi lm che andrebbe ricordato è I buchi neri, di Pappi
Corsicato. Poi lui è scomparso, chissà
che fi ne ha fatto…
Sanguigni: l’hanno massacrato a forza di paragoni
con Almodóvar.
Domanda: Di cosa sentite la mancanza, nel cinema
italiano? Intendo dire, su che cosa, secondo voi, l’occhio della
macchina da presa si è concentrato poco e vi piacerebbe si
soffermasse maggiormente? O anche, cosa iacerebbe raccontare a voi,
che fi nora non sia stato abbastanza raccontato dai registi italiani?
Cruciani: vorrei avere più incubi al ritorno
dal cinema. Essere condizionato da un film e non uscire di casa per
un paio di giorni come mi è successo dopo aver visto Mulholland
drive, vorrei essere scosso.
Di Giorgio: io vorrei raccontare la vita di un ragazzino
imbevuto di televisione. La televisione è stata un po’
una coscienza comune per tutta la nuova leva registica, i cartoni
animati, le merendine davanti alla televisione, etc.
Sanguigni: innanzitutto, un fi lm anomalo e privo
di un senso di appartenenza, che non sia connotabile in quanto italiano.
Un fi lm che non sia in nessun luogo: per questo vorrei fare un fi
lm di fantascienza. Anche perché la fantascienza è un
genere così ampio che permette l’assorbimento di tante
tensioni, emotive, biografi che, speculative…
Giulioli: mi piacerebbe vedere un fi lm con grandi
spazi, in cui si respiri un’ampiezza di veduta. Intendo sia
l’epos della conquista di uno spazio,
che la varietà dei luoghi attraversati dai protagonisti, che
il gusto per la coreografia.