L'eredità
viscontiana
Alessandro Bencivenni
Quando
accade che la critica giornalistica adoperi per qualche film lappellativo
di viscontiano, lo fa ancor oggi riferendosi a elementi
esteriori, come il compiacimento per il lusso o lambientazione
scenografica minuziosa.
Tutto ciò perpetua un luogo comune che Visconti stesso stigmatizzava:
Le solite banalità: Visconti vuoi fare il film fastoso,
il film gradevole da vedere, il film interpretato da gente bella,
il film di lusso, il film che mal che vada si regge sempre per larredamento
e i costumi .
Il vero Visconti va ricercato piuttosto nei temi e nello stile: nella
predilezione per il melodramma, nel racconto delle trasformazioni
storiche attraverso la sconfitta dei destini individuali. In questo
senso, non sono molti i film che meritino davvero lappellativo
di viscontiano.
Il primo posto in questa breve e certo incompleta rassegna spetta
cronologicamente a quelli che furono gli aiutoregisti de La terra
trema: Francesco Rosi e Franco Zeffìrelli.
La critica di un tempo usava contrapporre un Visconti realista
a un Visconti decadente, mentre oggi si preferisce considerare
i due termini integrati e compresenti in un costante rapporto dialettico.
Invece, nellopera di Rosi e Zeffirelli, è come se i due
termini sopravvivessero scissi. Visconti ha infatti trasmesso al primo
il gusto per laffresco sociale, allaltro quello per la
messinscena melodrammatica.
Rosi ha proseguito con successo sulla strada del meridionalismo e
dellimpegno civile, concedendosi nel 1984 una fortunata incursione
nel film-opera con una Carmen in chiave verista. Zeffirelli ha trovato
invece nel teatro e nel melodramma costante alimento anche per la
sua attività cinematografica, grondante di languori e di manierismi
formali.
Opposte carriere, come opposta fu la considerazione che il maestro
dimostrò per loro: verso Rosi, Visconti ebbe ripetute parole
di stima, mentre al secondo riservò via via apprezzamenti sempre
più caustici:
Rosi ha avuto uno sviluppo particolare. Non lo considero più
un giovane. E una affiliazione diretta (1963).
Zeffirelli? Un ragazzino che poteva venir su mica male, ma sè
guastato per strada e talvolta ha delle vanità così
sciocche, così femminili... Gli ho anche telefonato. Gli ho
detto: sei peggio della Taylor... (1974).
Effettivamente, nelle regie manierate e accademiche di Zeffirelli
cè più inclinazione al presepe vivente che alla
lettura critica dei testi che mette in scena.
Mentre in Visconti è proprio lapproccio critico verso
il mondo che ricostruisce e interpreta a dare sostanza e vitale contraddizione
al suo modo di rappresentarlo. E una questione di stile, ma anche
una scelta ideologica: e le opposte vedute in questo campo furono
uno degli elementi che allontanarono i due registi. Così come
nella affiliazione di Rosi ebbe senzaltro peso la
comunanza delle posizioni politiche.
Oggi, con la crisi delle ideologie, può apparire datata e ambigua
la professione di fede comunista dellaristocratico Visconti.
Ancor più di quanto - lui vivo - già non sconcertasse
vedere sul set questo compagno-regista che esigeva di esigeva di essere
chiamato signor conte.
Eppure, se si toglie ai suoi film la contraddizione tra il progresso
e la nostalgia, tra il solipsismo e la fede sociale, tra lamore
per la cultura decadente e il tentativo di storicizzarla, si perde
il senso diciò che è autenticamente viscontiano.
Ha detto bene Renzo Renzi nel recente Visconti segreto:
II cinema e il teatro furono, per lui, loccasione di un
lungo godimento estetico, quindi di una lunga liberazione, ma insieme
anche di una lunga, molto civile, espiazione. Tutta la sua opera
è attraversata infatti da un profondo senso di colpa, legato
alla sua duplice diversità di omosessuale e di
aristocratico, vissuta contemporaneamente come privilegio e come condanna.
Lespiazione di cui parla Renzi passa anche per la politica.
Le scelte di Visconti in questo campo sono certo contraddittorie,
ma inscindibili dalle sue scelte poetiche. Con buona pace di quanti
oggi vogliono fare di lui una specie di vessillo della cultura di
destra.
Bisogna ammettere però che latteggiamento di Visconti
nei confronti degli autori delle generazioni più giovani fu
molto conservatore.
Cinema Antropomorfico
Luchino Visconti
Che
cosa mi ha portato ad una attività creativa nel cinema?
(Attività creativa: opera di un uomo vivente in mezzo agli
uomini.Con questo termine sia chiaro che mi guardo bene dallintendere
qualcosa che si riferisca soltanto al dominio dellartista. Ogni
lavoratore, vivendo, crea: sempre che egli possa vivere. Cioè:
sempre che le condizioni della sua giornata siano libere e aperte;
per lartista come per lartigiano e loperaio).
Non il richiamo prepotente di una pretesa vocazione, concetto romantico
lontano dalla nostra realtà attuale, termine astratto, coniato
a comodo degli artisti, per contrapporre il privilegio della loro
attività a quella degli altri uomini.
Poiché la vocazione non esiste, ma esiste la coscienza della
propria esperienza, lo sviluppo dialettico della vita di un uomo al
contatto con gli altri uomini, penso che solo attraverso una sofferta
esperienza, quotidianamente stimolata da un affettuoso e obiettivo
esame dei casi umani, si possa giungere alla specializzazione.
Ma giungere non vuoi dire rinchiudersi, rompendo ogni concreto legame
sociale, come a molti accade, al punto che la specializzazione finisce
sovente col prestarsi a colpevoli evasioni dalla realtà, e
in parole più crude: al trasformarsi in una vile astensione.
Non voglio dire che ogni lavoro non sia lavoro particolare e in un
certo senso mestiere. Ma sarà valido solo se sarà
il prodotto di molteplici testimonianze di vita, se sarà una
manifestazione di vita.
II cinema mi ha attirato perché in esso confluiscono e si coordinano
slanci e esigenze di molti, tesi per un lavoro complessivo migliore.
E chiaro come la responsabilità umana del regista ne risulti
straordinariamente intensa, ma, purché egli non sia corrotto
da una decadentistica visione del mondo, proprio da essa verrà
indirizzato sulla strada più giusta.
Al cinema mi ha portato soprattutto limpegno di raccontare storie
di uomini vivi: di uomini vivi nelle cose, non le cose per se stesse.
Il cinema che mi interessa è un cinema antropomorfico. Di tutti
i compiti che mi spettano come regista, quello che più mi appassiona
è dunque il lavoro con gli attori; materiale umano con il quale
si costruiscono questi uomini nuovi, che, chiamati a viverla, generano
una nuova realtà, la realtà dellarte.
Perché lattore è prima di tutto un uomo. Possiede
qualità umane-chiave. Su di esse cerco di basarmi, graduandole
nella costruzione del personaggio: al punto che luomo-attore
e luomo-personaggio vengano ad un certo punto ad essere uno
solo.
Fino ad oggi, il cinema italiano ha piuttosto subito gli attori, lasciandoli
liberi di ingigantire i loro vizi e le loro vanità: mentre
il problema vero è quello di servirsi di ciò che di
concreto e di originario essi serbano nella loro natura.
Perciò importa fino a un certo grado che attori cosiddetti
professionali si presentino al regista deformati da una più
o meno lunga esperienza personale che li definisce in formule schematiche,
risultanti di solito più da sovrapposizioni artificiose che
dalla loro intima umanità.
Anche se molto spesso è una dura fatica, quella di ritrovare
il nocciolo di una personalità contraffatta e una fatica che
tuttavia vale la pena di spendere: proprio perché al fondo
una creatura umana cè sempre, liberabile e rieducabile.
Astraendo con violenza dagli schemi precedenti, da ogni ricordo di
metodo e di scuola, si cerchi di portare lattore a parlare finalmente
una sua lingua istintiva. Si intende che la fatica non sarà
sterile, solo se questa lingua esiste sia pure involuta e nascosta
sottocento veli: se esiste cioè un vero temperamento.
Non escludo, naturalmente, che un grande attore nel senso
della tecnica e dellesperienza, possegga tali qualità
primitive. Ma voglio dire che, spesso, attori meno illustri sul mercato,
ma non per questo meno degni di attirare la nostra attenzione, ne
posseggono altrettante.
Per non parlare dei non attori, che, oltre a recare il contributo
affascinante della semplicità, spesso ne hanno di più
autentiche e di più sane, proprio perché, come prodotti
di ambienti non compromessi, sono spesso uomini migliori. Limportante
è scoprirle e metterle a fuoco. Ecco dove è necessario
intervenga quella capacità rabdomantica del regista, tanto
nelluno come nellaltro caso.
Lesperienza fatta mi ha soprattutto insegnato che il peso dellessere
umano, la sua presenza, è la sola cosa che veramente
colmi il fotogramma, che lambiente è da lui creato, dalla
sua vivente presenza, e che dalle passioni che lo agitano questo acquista
verità e rilievo; mentre anche la sua momentanea assenza dal
rettangolo luminoso ricondurrà ogni cosa a un aspetto di non
animata natura.
Il più umile gesto delluomo, il suo passo, le sue esitazioni
e i suoi impulsi da soli danno poesia e vibrazioni alle cose che li
circondano e nelle quali si inquadrano. Ogni diversa soluzione del
problema mi sembrerà sempre un attentato alla realtà
così come essa si svolge davanti ai nostri occhi: fatta dagli
uomini e da essi modificata continuamente.
Il discorso è appena accennato, ma accentrando il mio netto
atteggiamento, vorrei concludere dicendo (come spesso amo ripetermi):
potrei fare un film davanti a un muro, se sapessi ritrovare i dati
della vera umanità degli uomini posti davanti al nudo elemento
scenografico: ritrovarli e raccontarli.
Una sera di metà gennaio, a Roma, entrai al teatro Valle per
salutare i miei attori. Era quasi mezzanotte, e attraverso lalto-parlante
dei camerini sentii Rina Morelli che diceva lultima battuta
di Liubòv Andrèievna: Mi sembra di non aver mai
visto prima dora i muri e i soffitti di questa casa....
Anche quella sera, a due mesi e mezzo dalla prima rappresen-tazione,
II giardino dei ciliegi aveva fatto un tutto esaurito.
In salacerano moltissimi giovani. E oltre alla solita quota
di abbonati alla stagione del nuovo Stabile cera evidentemente
un pubblico insolito per il teatro di prosa. Più che al Valle,
sembrava di essere in una sala cinematografica di seconda visione,
strapiena.
Sulla scena, i personaggi scomparivano a uno a uno, finché
rimase solo il vecchio Firs e il sipario si chiuse: applausi interminabili
come a un debutto, ma forse meno accondiscendenti e certo più
spontanei di quelli che di solito vengono tributati dal pubblico delle
prime. Contai più di quindici chiamate.
Ero soddisfatto come autore della messinscena, ma soprattutto ero
divertito come vecchio osservatore di fatti teatrali. Eravamo ormai
alla fine del periodo concessoci dal programma dello Stabile e il
botteghino era ancora costretto, ogni sera, a respingere richieste
di biglietti. Molta gente che desiderava vedere lo spettacolo, a Roma,
non è riuscita a vederlo.
Con un totale di settantasette repliche e oltre settantamila spettatori
paganti, Il giardino ha così smentito la sua assurda leggenda.
Lo spendore di Visconti
e il cinema contemporaneo italiano a Salvador
Mauro Porru
Dal
25 agosto al primo settembre 2002 ha avuto luogo a Salvador il Festival
di cinema italiano intitolato Luchino Visconti e il cinema nuovo
italiano. Questa iniziativa è frutto della collaborazione
dellIstituto Italiano di Cultura di San Paolo con lUniversità
Federale di Bahia, la Diretoria de Imagem e de Som della
Fundação Cultural do Estado da Bahia e la
Fundação Gregorio de Mattos del Comune di
Salvador. Si è trattato in effetti di portare nella capitale
baiana una parte della Mostra di cinema italiano avvenuta a San Paolo
dal 14 al 23 agosto scorso, organizzata dallIstituto Italiano
di Cultura, dalla Secretaria Municipal de Cultura, dal
Centro Cultural, della città di San Paolo, dal
NICE (New Italian Cinema Events), dalla Cineteca Nazionale di Roma
e dal Cinusp Paulo Emilio. Durante la Mostra, per commemorare i 26
anni della morte del grande regista milanese, è stata esibita
integralmente tutta la filmografia viscontiana, con copie restaurate,
e sono state presentate varie opere del cinema contemporaneo italiano,
con la presenza di registi e attori. A Salvador sono giunti sette
film della vasta e preziosa cinematografia viscontiana e cinque film
di nuovi registi italiani. Così il pubblico baiano ha potuto
assistere al felice incontro del regista milanese con la diva
Anna Magnani che in Bellissima ci offre un magnifico ritratto di donna
e di madre disposta ad affrontare ogni sorta di sacrificio pur di
lanciare nel cinema la sua figlioletta Maria, per poi rendersi conto
di quanto fossero sbagliate le sue ambizioni, vedendo la piccola diventare
lo zimbello di insensibili cinematografari, emblematiche rappresentazioni
di quanto possa essere crudele il mondo dello spettacolo. Le sontuose
immagini di Senso hanno sbalordito spettatori attenti che hanno seguito
affascianati le tragiche vicende della contessa veneziana Livia Serpieri,
interpretata magistralmente da una stupenda Alida Valli, che, sullo
sfondo della terza guerra d indipendenza, per amore del giovane
tenente austriaco Franz Mahler, tradisce il marito e la patria. Tratto
dalla novella omonima di Camillo Boito, il terzo lungometraggio di
Visconti, del 54, considerato dalla maggior parte dei critici
il suo capolavoro, è di una bellezza figurativa eccezionale.
Al cromatismo impareggiabile di Senso, ha fatto seguito il drammatico
uso del bianco e nero di Vaghe stelle dellOrsa, un film che
porta sullo schermo il profondo conflitto morale e esistenziale di
due fratelli, oppressi dai fantasmi di un passato in cui si intrecciano
storie di incesto, assassinio e delazione. Ha fatto parte del Festival
anche la trilogia tedesca, rappresentatata da: La caduta degli dei,
un film in cui Visconti affronta il tema dellascesa del nazismo,
nella Germania del 1933, raccontando la degenerazione materiale e
spirituale di una potente famiglia di industriali dell acciaio
che aderisce allideologia hitleriana; Morte a Venezia, basato
sulla novella La morte a Venezia di Thomas Mann, in cui
il problema dellamore e dellarte, della precarietà
della bellezza e dellimminenza della fine è trattato
con squisita sensibilità e struggente partecipazione che la
musica di Mahler commenta alla perfezione; Ludwig: uma biografia romanzata
del folle re di Baviera, amante delle arti e della musica che utopicamente
cercò di trasformare lo Stato Etico in Stato Estetico. La rassegna
di Visconti si é chiusa con la proiezione del suo ultimo film
Linnocente che, basato sul romanzo omonimo di Gabriele DAnnunzio,
ritratta ancora una volta, con raffinata fastosità, un dramma
familiare estremo segnato dallinfaticidio e dal suicidio. Hanno
fatto parte del Festival, come è stato accennato prima, anche
alcuni film contemporanei. La sera dell apertura è stato
proiettato il primo lungometraggio di Andrea Porporati, un giovane
scrittore-regista che ha pubblicato con la Mondadori due romanzi di
successo: La felicità impura, nel 1990 e Nessun dolore, nel
1993. Nellambito del cinema, ha scritto le sceneggiature del
film Stato di emergenza di Carlo Lizzani; del premiatissimo Lamerica
di Gianni Amelio e di Vite in sospeso di Marco Turco. Per la televisione
ha sceneggiato le miniserie La piovra 7, 8 e 9. Come regista ha diretto,
nel 1999, il cortometraggio Quello che posso permettermi, premiato
in Anteprima anno zero - Bellaria Festival 2000. Tra il
2000 e 2001 ha scritto e diretto il suo primo lungometraggio intitolato
Il sole negli occhi che ha ottenuto il Grand Prix e il
premio internazionale dei cinema dessai al Festival
di Annecy 2001. Il film tratta di uno di quei crimini inspiegabili
che la stampa definisce di pazzia momentanea. Marco, un
ragazzo borghese benestante del Nord Italia, uccide suo padre accecato
da un odio incomprensibile che cova da anni. Un trauma, uno shock
del passato lha trasformato ed è parzialmente responsabile
del delitto. Il giovane però non sa esattamente perché
ha commesso quellassassinio. Lincontro con una vicina
di stanza, nellalberghetto in cui si è rifugiato dopo
lomicidio e di cui si innamora, segna linizio di una profonda
crisi e la possibilità di aprire gli occhi per capire il vero
motivo che lha spinto a compiere il delitto, un motivo intimamente
radicato nella sua personalità e nel suo passato ma che stenta
a comprendere. Costruito dal punto di vista del giovane assassino,
il film descrive con molta crudezza ma allo stesso tempo con molta
umanità il percorso di questo dramma esistenziale. Interpreta
magistralmente il giovane parricida Fabrizio Gifuni, un attore di
grande talento, proveniente dal teatro, che dal 1996 lavora nel cinema,
interpretando film di vario genere come Così ridevano di Gianni
Amelio, vincitore del Leone doro al Festival di Venezia, nel
98, Il Partigiano Johnny di Guido Chiesa, Hannibal di Ridley
Scott, Un amore e Qui non è il Paradiso di Gianluca Tavarelli
e Lamore probabilmente di Giuseppe Bertolucci. Gifuni ha vinto
vari premi tra cui, nel 2002, i più prestigiosi in ambito europeo:
lo Shooting Star al Festival di Berlino e il Globo
doro della stampa straniera. Oltre al Sole negli occhi,
sono stati proiettati durante il Festival: Ribelli per caso di Vincenzo
Terracino, un film originale e divertente che riproduce sullo schermo
varie componenti della società italiana attraverso la simpatica
ribellione di un gruppo di anziani pazienti, di diversa estrazione
sociale, che, costretti a dividere una corsia di ospedale, si alleano
per poter sostituire il cibo sciapo dellospedale con piatti
saporiti; Come si fa un Martini di Kiko Stella, unopera corale
congegnata allinterno di una varietà di brevi storie
le cui trame si intersecano con raffinato umorismo; Tornando a casa
di Vincenzo Marra, una produzione cinematografica molto convincente
in cui, riscattando la lezione neorealista, si parla di pescatori
che lottano contro la fame e dello sfruttamento degli immigranti nellItalia
di oggi; Lamore probabilmente di Giuseppe Bertolocci, un film
colto che parla dei rapporti tra la finzione, la vita e la finzione
nella vita, interpretato brillantemente dalla giovane attrice Sonia
Bergamasco, proveniente anch essa dal teatro, in cui ha lavorato
con Giorgio Strehler, Glauco Mauri, Theodoros Terzopulos e da poco
approdata al cinema. Perfetta interprete di voci recitative, Sonia
é anche poetessa e ha vinto nel 1997 il Premio Nazionale
di Poesia Marianna Fiorenzi. Durante il Festival ha avuto luogo
il seminario: Luchino Visconti: innovazione e tradizione/Cinema
italiano contemporaneo, al quale hanno partecipato: Florinda
Bolkan, lunica attrice brasiliana che ha lavorato con Visconti,
la quale ha parlato con emozione della sua esperienza, come professionista
e come amica, con il regista milanese: il regista Andrea Porporati
e gli attori Sonia Bergamasco e Fabrizio Gifuni che hanno fatto unanalisi
del cinema contemporaneo italiano a partire dalle loro esperienze
professionali e il sottoscritto come moderatore e specialista di Visconti.
Dallanimato dibattito con il numeroso pubblico, che si è
protratto per quasi tre ore, si é concluso che il cinema italiano
attuale è vivo, anzi vivissimo. Erede comunque della grande
cinematografia italiana, rappresentata appunto da Visconti, Fellini,
Antonioni, Rossellini. De Sica, Rosi e così via, dopo trentanni
di crisi produttiva e di ispirazione, il nuovo cinema italiano sta
cercando di riconoscersi in un nuovo e diversissimo contesto sociale
e politico, con numerose e valide sperimentazioni.