Rina
Sara Virgillito: una mistica del novecento
Sergio Romanelli
Considerata
una mistica del ventesimo secolo, Rina Sara Virgillito é stata
definita, negli anni 80, dal critico letterario Carlo Bo, lunico
vero poeta degli ultimi trentanni. Nasce nel 1916 a Milano,
dove compie gli studi e si laurea in Lettere e muore il 12 agosto
del 1996 a Bergamo. Nel 1946, giovane insegnante del liceo classico,
scrive un saggio sulla poesia di Eugenio Montale che, apprezzato dal
poeta ligure, darà inizio ad unesclusiva e lunga amicizia.
Il saggio, che verrà pubblicato solo nel 1991 con il titolo
La luce di Montale, voleva dimostrare il modo particolare di sentire
il divino (legato al simbolo della luce) del poeta, rifiutando le
interpretazioni canoniche che mettevano in risalto il forte pessimismo
della poetica montaliana. Montale fu per la Virgillito un modello
allo stesso tempo amato e temuto. Testimo-nianze della loro amicizia
sono alcuni ritratti della poetessa fatti dallo stesso Montale negli
anni 50. Con lapprovazione del grande poeta inizia la
produzione poetica della Virgillito.
La prima raccolta edita nel 1954, I giorni del sole, si pregia dellintroduzione
del critico Carlo Bo che la definisce poetessa difficile, cerebrale.
In questo libro, lautrice recupera i più famosi miti
classici: da Orfeo a Ulisse, da Persefone a Narciso, da Fedra a Calipso.
Tutti calati nella tensione allassoluto, alla comprensione del
reale attraverso lirreale. Una tensione che è un invito
alla comprensione della vita più vera; questo è ciò
che nella poesia Prometeo lautrice chiede ai suoi lettori: E
questa vita vostra/ mi sfugge. Scorgo/ remote/ le vostre case, i gesti/
illuminati dal mio gesto, e ancora/ le vostre morti, brulicanti in
grembo/ al futuro, da me/ sfolgorate -/ e invano tendo lunghie
a penetrarvi:/ il vostro aspetto è larva.
La raccolta successiva, La Conchiglia (1962), è scelta e curata
da Leonardo Sciascia. Continua linvito ad unire in un gesto
le sillabe appartenenti ai due mondi (spirituale e terrestre) e nella
poesia Consolazione srive: La memoria non conta? Delle sere/ di melograno
e gli azzurri silenzi/ al montar della luna, dellandare/ e del
restare insieme in una sola/ conca dombra e di perla altro non
è/ la memoria che un soffio e non consola/ il deserto paese
che intravedi/ nel gorgo delle lacrime?... La memoria, quindi, come
consolazione vitale, appiglio per cercare sempre la svolta. Solo nel
1976 esce la nuova raccolta, I fiori del cardo. Sono le poesie che
lei stessa definiva dellattesa. È considerato
il libro più cupo, più pessimista e più montaliano.
Continua il suo percorso medianico, il suo diario spirituale ed inizia
quel dialogo con lAltro, Amante/Dio, che sarà il vero
interlocutore di tutta la sua restante produzione poetica. LAltro,
presente/assente, che è sempre dentro/fuori di sé, come
in Le ore: Le ore del giorno e della notte/ Non mi guariscono di te./
Lunghi cunicoli dombra/ di stanza in stanza di pietra in pietra/
mavvicinano/ al luogo ignoto/ dove in un crudo sfolgorio di
gemme/ ti ritrovo, da sempre/ in me.
Nel 1984 pubblica Nel grembo dellattimo con unintroduzione
di Carlo Bo. È un libro di transizione, di passaggio a una
nuova stagione della sua poesia. Sono 78 poesie in cui il protagonista
principale è il tempo, con i suoi fallimenti e con le promesse
di futuro: tutto si compie nellattimo, nel suo grembo... morte
e nascita. La poesia ed il ritmo si fanno, in questa raccolta, più
concentrati, ellittici, quasi a voler essere voce fedele del momento
della creazione e più forte si fa il bisogno di vedere oltre
la membrana del tempo come in Al passeggio: Linvisibile
preme sul visibile,/ adunche nubi precipitano rotoli/ sui crocchi
a mezzo i sedili, al passeggio./ Non figure ma/ forze/ turbinando
si aggregano/ disfanno promesse lampeggia-no preghiere.
Nel 1991 esce Incarnazioni del fuoco che è stato associato
alla Divina Commedia dalla quale é influenzato in maniera indiscutibile.
In questo poema tutto si trasforma, parola ed immagine. Le poesie
sembrano calligrammi, disegnano strane figure sulla pagina. Siamo
nel regno della metamorfosi, il paesaggio (nel senza-tempo e nel senza-spazio)
è fatto di rocce, pietre, vulcani e lava (un inferno dantesco)
attraversato da fasci di luce, da riflessi di gemme. È la rappresentazione
di una lotta tra le forze del bene e del male, della luce e del buio.
La forma prevalente è quella dellinvocazione, il tempo
limperativo. Qui Dio e Amore (l Altro/Amante) sono Uno.
Scrive Mario Luzi nel risvolto di copertina: Non cè alcuna
freccia di direzione né alcuna mappa di orientamento sulla
soglia della sua caverna mistica: in modo abrupto Sara Virgillito
ci risucchia allinterno del suo poema alchemico comunicandoci
inmediata-mente il suo ritmo. Il poema che ha come tema il fuoco,
il principio vitale e metamorfico, infatti è concepito come
azione pitica e organizzato di conseguenza nel flusso metrico di un
continuo esaltato e affocato trasali-mento. Questo è un viaggio
a spirale che può essere considerato la summa e il punto di
arrivo di tutta la produzione poetica della Virgillito e della sua
vita di donna che in Pietà dichiara: Se tutto è scritto
e noi/ recitiamo le parti/ solo/ nel gran mistero, come/ amarti, come/
scartare il peggio? Non/ mancarmi, io/ non ti rinnegherò.
Nel 1994 esce lultimo libro di poesie, Lalbero di luce,
non una semplice continuazione del precedente, ma lo sviluppo, la
dilatazione verso spazi senza confini e senza tempo. Con queste 31
poesie si conclude la sua stagione poetica caratterizzata dal viaggio
verso il non-dove, accompagnata da versi sempre più ellittici,
in cerca di un colloquio con lamante divino senza
soste, nellunione dei contrari come in Il virtuale: Adocchiamenti
celestiali/ e inferni sottocemento ./ Il virtuale ? Scheggiare/ la
verticale di vetro/ o come insetti sul liscio/ risalire/ sbavando/
fino al miracoloso/ Va!.