Coccodrillo per Gina
Galeffi
Meri Lao
In gergo giornalistico
si denomina coccodrillo il pezzo scritto su una
personalità vivente, pronto da dare alle stampe (con qualche
ritocco di
ultimo momento) alla morte della stessa. Fino a poco tempo fa ignoravo
che
questi pezzi fossero preconfezionati, forse perché il primo
che ho letto dichiarato tale è stato il “Coccodrillo
per mio padre” che la mia amica Delfi na
ha scritto per Vittorio Metz, il celebre comico, raccogliendone gli
scritti postumi. Grondante di commozione e ironia, solo per antifrasi
poteva richiamare il rettile dalle lacrime fi nte e tardive. È
con questo stato d’animo che mi accingo a stilarne uno per Gina
Galefi . Un coccodrillo per nulla ortodosso. L’idea l’avrebbe
sicuramente divertita.
Non sta a me sapere se avesse la capacità di convivere con
gli altri. So solo che era curiosa dell’altro: del laico, del
credente, del superstizioso, dell’intellettuale, del semplice,
dell’irregolare, dell’integrato, del talentuoso, del qualunquista,
del rivoluzionario, del caso disperato. Riusciva a rapportarsi con
tutti, con grande libertà, priva di intolleranze. Lo stesso
atteggiamento lo riservava negli ultimi tempi anche con l’altra
Gina, quella che contrariamente al suo solito aveva qualche défaillance
della memoria e si ripeteva nella conversazione; seto. qualcuno glielo
faceva notare, rispondeva “E che male c’è a ripetere?
Ripeto le volte che mi pare.”
Come sono venuta a contatto con lei? Raccontavo al linguista Eugenio
Coseriu, professore all’Università di Montevideo (ai
tempi della mia formazione), di una lunga tournée di concerti
e conferenze che mi era stata organizzata in America Latina, e lamentavo
l’assenza di Bahia. Lui mi disse: “Scrivi a nome mio ai
Galeffi , Romano è un mio collega, Gina la moglie dirige la
Dante Alighieri. vedrai che riuscirai ad andare a Bahia”.
Fu così che la prima città brasiliana della tournée
fu Salvador. Leggo, nella documentazione cartacea che ha resistito
più ai traslochi transoceanici che alle macchie dell’insidiosa
gomma arabica: “Associação Cultural Italo Brasileira
- Dante Alighieri – Salvador – Convite para o recital
da pianista Meri Franco Lao - Quarta-feira, 22 de agosto de 1962,
Reitoria da Universidade da Bahia”. E di seguito il programma
tutto italiano, confezionato non proprio per strappare l’applauso
del pubblico. La prima parte di autori contemporanei: 4 Invenzioni
di Gof- fredo Detrassi, 2 Studi Dodecafonici di Roman Vlad, Ricercare
e Toccata di Gino Gorini; la seconda, di opere dell’Ottocento
come la Sonata in Sol Minore “Didone Abbandonata” di Muzio
Clementi e i “Péchés de Vieillesse” di Gioacchino
Rossini. Mi furono richiesti molti bis, per i quali ricorsi a Scarlatti
e Paradisi.
Coseriu mi aveva avvertito: “I Galeffi sono un po’ strani
(oggi si direbbe assai particolari o muito alternativos)”. Ci
fu simpatia a prima vista. Il récital agì da suggello
di una bellissima amicizia. Quella stessa sera mi portarono a una
seduta di candomblé: avevano ottenuto un’autorizzazione
speciale dal pai, che non ammetteva la presenza di turisti. Mi colpì
il sorriso di Gina, il suo cenno con la testa quando mi invitarono
alla danza, le sue spiegazioni da esperta, il suo fondamentale distacco.
Quante volte l’avrei ricordata così, paragonando il suo
atteggiamento a quello mio nei confronti del tango: adesione alla
sostanza, rifi uto della passione fanatica, dell’esotico. L’indomani
Gina mi portò a casa sua, un viavai di gente in cerca di aiuto,
il seduttore della ragazza madre cui aveva trovato lavoro e ora doveva
convincere a sposarla, quello che aveva bisogno di essere operato,
una quantità di fi gliocci che non si distinguevano dai fi
gli, no, non è vero: i fi gli, compostissimi,erano quei due
maschietti e quelle due femminucce dagli occhi umidi che guardavano
me, la giovane donna altissima dall’abito da sera sgargiante,
che girava il mondo suonando il piano, che ripartiva con un carico
di berimbau, agogó, aguê, caxixi,che parlava di cose
strane…
Fu un’amicizia fondata sulla comprensione e l’amore per
l’altro (scusatemi se torno al punto di prima), nonostante le
incoincidenze nel carattere e nelle scelte, amicizia che si sarebbe
tenuta accesa a diecimila chilometri di distanza, senza bisogno di
attizzarla coi normali e solerti gesti di onvenevolezza.
Gina l’ho rivista casualmente a Roma, da Patrizia Giancotti.
Che sorpresa, la mia giovane e recente amica cui mi avevano legato
le Sirene, era anche amica sua. Gina mi disse che Romano era deceduto
da poco, parlammo della morte, di come la recepiva in quanto religiosa,
dei paradisi di cartapesta, della sua serenità. “Io sono
sempre pronta, non ho il minimo timore, né per quello che lascio,
né per quello cui andrò incontro.” L’ho
vista altre volte ancora a Roma, in occasione di manifestazioni brasiliane,
e alla conferenza dell’altra mia cara Luciana Stegagno Picchio,
anche lei conosciuta da decenni. Lì parlammo ancora della morte:
sarà che le amicizie diradate, ma non sradicate, si alimentano
di questi temi? Le dissi di mia madre, che era morta a Roma il 2 febbraio
dell’’83, nella stessa data di mio padre, che era morto
a Montevideo il 2 febbraio del ’75, proprio il giorno di Yemanjá.
Le diedi il mio libro sulle Sirene, che lei sfogliò attentamente,
guardandomi ogni tanto negli occhi come per dire “Non mi hai
delusa” (o forse me l’ha detto). Rimanemmo che sarei andata
a Salvador, appena possibile, a celebrare i miei genitori. Lei mi
avrebbe ospitato con gioia.
Tornai a Bahia quarant’anni dopo quella volta del concerto.
Era il 02.02.2002, numero quasi palindromo, magico. Portai una sorta
di locandinaricordo in rigoroso seppia: due foto alla Reitoria, una
al piano, mentre suonavo, l’altra in cui il fi glio Dante, che
allora aveva otto anni, mi consegnava uno splendido mazzo di fi ori
tropicali, e altre foto scattate all’aeroporto Santo Amaro de
Ipitanga, dove Gina e Romano mi avevano accompagnato per proseguire
la tournée. Sia Gina, sia io, sapevamo che quella sarebbe stata
l’ultima volta che ci saremmo incontrate. Per difetto suo o
per difetto mio.
È stato una festa. La fi glia Eugenia e Mauro Porru mi hanno
fatto tenere una conferenza (sul tango) all’Università:
fortunatamente ho abbandonato la carriera di pianista, altrimenti
mi avrebbero messo a disposizione una sala da concerti megagalattica.
Nella sede della Dante, presieduta da Dante Augusto Galeffi (il bimbo
dei fi ori) ho mostrato il nuovo libro, con foto a colori, e abbiamo
fondato una sorta di associazione (senza statuto) di Amici della Sirena.
Mi hanno regalato una scultura in papier maché di Roberto Barr
in cui Yemanjá ha il corpo ricoperto di spine, come una rosa,
e i capelli biondi con le treccine rasta.
La fi glia Elisa mi è stata accanto alla Festa propriamente
detta nella spiaggia del Rio Vermelho. Ho lanciato una spiga di tuberose
in mare. Sono i fi ori cari a Yemanjá e anche quelli rappresentativi
del segno dello Scorpione, nascono a novembre, come i miei. L’ho
fatto pensando ai miei scorpionacci anarchici e mangiapreti fi no
all’ultimo, che a me fi glia unica mi avevano giocato quel tiro
mancino uscendo di scena il giorno della mia sirena più carica
di senso. I fi ori sono scomparsi fra le onde. Sono stati graditi
dalla Sirena. Lo commentavo con Gina, con infi nita tenerezza.
Ciao, Gina. È toccato a me farti il coccodrillo.
L’ultima volta che l’ho vista è stato al Salvador,
ero sua ospite.