Un legame intimo

Andrea Lombardi

Scrivere su Gina è cercare un legame intimo (come si potrebbe scrivere su Gina senza partire dall’intimità?). In realtà, non la conoscevo tanto bene Gina, eppure – a tutti deve essere capitato – una volta vista, incontrata, una volta avuto il contatto uditivo, sensitivo, si era “di casa”, con Gina. Una sensazione che – certo – in Brasile apparentemente è usuale, normale, quotidiana. ... Eppure, non lo è. Gina, questo mescolanza ibrida e affettiva, così esuberante e trasbordante, una specie di “unico” dei due mondi, Italia e Brasile, distanti sì, ma anche così contigui: Italia meridionale (chissà perché ho sempre pensato che fosse napoletana d’origine e invece, pare, sbagliavo) e Bahia profonda, candomblé e riti sincretici (non è stata lei a portare Umberto Eco e la fi glia a un terreiro? Ed Eco poi l’ha descritta, la scena, nel suo Pendolo di Foucault).

Una cantilena sola nella sua voce che univa accenti e melodie. Un suono con un effetto esterno di grande portata sonora, ma in cui si poteva individuare un occhio, uno sguardo interno, profondo. Anche qui, una specie di unicum nella performance linguistica e culturale. Saggezza quasi di secoli, memoria delle tradizioni e rispetto profondo, mescolanza di elementi esoterici e mistici (ma per Gina erano pane quotidiano) e rigore affermato per le questioni accademiche (“ma sempre col cuore”), attrazione convinta per il folklore (anche la sua idea di insegnamento della lingua ne era infl uenzata) e quell’insuperabile, indifettibile, inguaribile, assolutamente ineguagliabile ottimismo (forse la Napoli che le attribuivo, sbagliando, era quella viva nella memoria dei miei che, pensando a Gina, si stagliano così precisi, coetanei, solidali. Forse la Napoli, era quella di Kaputt di Curzio Malaparte, e i suoi riti esoterici e il suo carattere mistico profondo, un Meridione-Nordeste, insieme stereotipo e folklore, profondo Brasile e Italiache fu).

Il legame dunque certamente c’era e c’è. Ed era un legame doppio. Quello della mia attività (apprendista docente, avevo avuto l’indicazione e il telefono della Gina, prima della venuta dall’Italia). Il legame si presentava come quei punti di incrocio tra persone e cose che succedevano allora, nel nostro passato (non è nostalgia, è semplice costatazione): solido, preciso, vulcanico (e durava una vita o veniva rigettato completamente, come eresia). Mio padre era stato il relatore della laurea di Gina, così mi aveva raccontato lei, oppure mi aveva detto lui. Lui che era professore di fi losofi a. Napoletano, dei begriffi – un concetto che in sé è un poema (legato come è al concetto hegeliano in tedesco di Begriff – poi napoletanizzato begriffi).

Di fatto, posso dire che Gina la conoscevo benissimo, fi n dalla prima telefonata, da Porto Alegre (dove ero approdato nel novembre del 1982 come lettore – il primo in Brasile). “Pronto”, dico io senza immaginazione...”. Sì, chi parla...”. Sono... fi glio di ... “. Ed immediatamente: “Ma allora vienici a trovare, potremo ospitarti a casa nostra e saremo contenti di conoscere il fi glio di...”.

Prima che venissi in Brasile, nel lontano 1982, mio padre aveva aperto una sua fatidica agendina (ne aveva varie, tutte catalogate, divise per anni, viaggi, paesi. In maniera implacabilmente ordinata). “A Bahia devi andare a trovare Gina e Romano Galeffi ”. Frase defi nitiva. Lei si è laureata con me e Romano ha fatto degli esami, nel... 1949 (conservava tutti i documenti, le fotografi e, le frasi, le battute, le barzellette. Era lui che aveva messo in giro sul suo maestro amato/odiato l’impagabile: “quel benedetto uomo che ci ha messo in croce”). In effetti, appena arrivato in Brasile, da Porto Alegre, gli ho subito telefonato, a Gina. La sua voce la sento ancora (non è cambiata con gli anni). Semplice, diretta e cordiale. Un esempio di grandi intimità: quando ci ha incontrati insieme, a me e Susana (c’erano stati dei problemi, dolorosi), ci ha detto: dovrete essere persistenti, avrete altri fi gli (ne avevamo uno, adesso ne abbiamo tre, vispi e fl oridi. E ce n´è voluta di persistenza).

Il suo ottimismo era contagioso, è il minimo che si può dire. Un ottimismo grandioso, apoteosi del vedere attraverso, dell´andare avanti, dell’imporre e imporsi una prospettiva. Scrivere su Gina è scavare nella memoria (scrivere è sempre così). L’immagine che si rispecchia, che risuona, che parla è la registrazione di Gina. È Gina com’è stata, oppure, come lei certamente avrebbe voluto e vuole essere ancora adesso. È ancora lei, Gina, che stabilisce il suo legame. Forse noi possiamo essere scettici. Ma lei non lo è. Ed il legame è ancora più intimo.

 


Voltar para última edição

Mosaico Italiano #22

Gina Galeffi, il sorriso e la pazienxa di Bahia
(Mimmo Liguoro)

Una despedida
(Flora de Paoli)

Ritratto di Gina Magnavita
(Sergio Campailla)

Essere con Gina continuare con Gina
(Mauro Porru)

Coccodrillo
per Gina Galeffi
(Meri Lao)

Un legame intimo
(Andrea Lombardi)


Ricordo di Gina
(Loredana de Stauber Caprara)

In Brasile, l'Italia e la "poesia" di una vita
(Francesco Marroni)