Si può vincere avendo torto

Anche Annibale, grazie agli elefanti, ha sconfitto i romani a Canne, ma aveva avuto ragione a passare le Alpi e a invadere la penisola?

Umberto Eco

In guerra si diventa manichei, la guerra fa perdere il ben dell’intelletto, storie vecchie. Ma è certo che in occasione della guerra in Iraq abbiamo assistito a delle manifestazioni che - se non fossero probabilmente dovute all’incattivirsi collettivo che una guerra produce - dovremmo ascrivere a malafede.
Si è cominciato col dire che chi era contro la guerra era dunque per Saddam, come se chi discute sull’opportunità o meno di somministrare al malato una certa medicina stia dalla parte della malattia. Nessuno ha mai negato che Saddam fosse un dittatore esecrabile e caso mai tutta la questione era se, a cacciarlo in quel modo violento, non si buttava via anche il bambino con l’acqua sporca.
Poi si è detto che chi era contro la politica di Bush era anti-americano viscerale, come a dire che chi è contro la politica di Berlusconi odia l’Italia. Caso mai il contrario.
Infine, anche se non tutti hanno avuto questa faccia tosta, si è insinuato che chi marciava per la pace appoggiasse le dittature, il terrorismo e magari anche la tratta delle bianche. E pazienza.
Ma le sindromi più interessanti sono emerse dopo che la guerra in Iraq è stata, almeno formalmente, vinta. Vedete, hanno incominciato a dire trionfanti su tutti gli schermi, che chi parlava di pace aveva torto. Bell’argomento. Chi ha detto che chi vince una guerra avesse buone ragioni per farla? Annibale ha vinto i romani a Canne, perché aveva gli elefanti, che erano i missili intelligenti dell’epoca, ma aveva avuto ragione a passare le Alpi e a invadere la penisola?
Poi i romani vincono lui Zama, e non è detto che avessero ragione a eliminare del tutto il polo-Cartagine, e non invece a cercare un equilibrio di forze nel Mediterraneo. E avevano ragione a dargli la caccia tra Siria (torna in ballo sempre la Siria...) e Bitinia per poi costringerlo ad avvelenarsi? Non è detto. Magari sì e magari no.
E poi perché insistere con quel “vedete che hanno vinto”? Come se chi criticava questa guerra dubitasse che gli anglo-americani avrebbero vinto. C’era forse qualcuno che credeva che gli iracheni li avrebbero ributtati a mare nel Golfo? Non ci credeva neppure Saddam, che parlava tanto per rincuorare i suoi, a meno che non gli fosse andato definitivamente il cervello in acqua.
Il problema caso mai era se gli occidentali avrebbero vinto in due giorni o in due mesi. Visto che per ogni giorno di guerra in più muore un sacco di gente, meglio venti che sessanta giorni.
Quello che gli irrisori da teleschermo dovrebbero dire è: «Avete visto, voi dicevate che la guerra non avrebbe eliminato il pericolo terrorista, e invece ce l’ha fatta». E questa è l’unica cosa che non possono dire, perché non c’è ancora la prova che sia vera. Coloro che criticavano la guerra, a parte ogni considerazione morale e civile sul concetto di guerra preventiva, sostenevano che un conflitto in Iraq avrebbe probabilmente aumentato e non diminuito la tensione terroristica nel mondo, perché avrebbe spinto gran parte di arabi, che sino allora si mantenevano su posizioni moderate, a odiare l’Occidente, e quindi avrebbe suscitato nuove adesioni alla guerra santa. Ebbene, sino ad ora l’unico risultato tangibile della guerra sono state le brigate volontarie di possibili kamikaze che si sono mosse dall’Egitto, dalla Siria, dall’Arabia Saudita verso le trincee di Baghdad. Un’avvisaglia preoccupante.
Anche ammesso che chi sosteneva la tesi della pericolosità del conflitto avesse torto, quello che è successo e che sta succedendo non lo ha ancora provato, anzi pare che laggiù si stiano scatenando odi etnici e religiosi abbastanza difficili da gestire, e assai pericolosi per l’equilibrio medio-orientale.
Infine, nella scorsa Bustina, scritta e inviata a “L’espresso” prima che gli anglo-americani entrassero in Baghdad e l’esercito iracheno si sfaldasse, avevo ricordato che non si era ancora sfaldato perché malauguratamente le dittature producono anche consenso, e questo consenso si rafforza, almeno all’inizio, di fronte a un esercito straniero sentito come invasore. Poi l’esercito si è sfaldato e le folle (ma quanti in verità?) sono andate a festeggiare gli occidentali. Ed ecco che qualcuno mi ha scritto dicendo «vedi?». Vedi cosa? Ricordavo che prima dell’8 settembre il fascismo aveva potuto contare anche sul consenso implicito dei poveretti che si erano battuti ad El Alamein o in Russia. Poi la disfatta, via a tirare giù le statue del Duce dai piedistalli, e tutti antifascisti. In Italia ci sono voluti tre anni e passa, in Iraq molto meno, ma la dinamica è stata la stessa. E con quello che sta succedendo ora tra varie fazioni che vogliono dirigere il paese senza gli occidentali di mezzo, mi pare che si sia disciolto il consenso nei confronti di Saddam ma - a differenza dell’Italia di allora - non il sentimento di diffidenza e insofferenza verso lo straniero.
Che è poi quel che volevasi dimostrare, e il contrario non è ancora stato dimostrato.

 


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