Cinema: l'arte a servizio dei dittatori

Gian Piero Brunetta

Ci preme sottolineare per una possibile indagine comparativa, i seguenti elementi comuni nell’uso pubblico del cinema da parte dei dittatori:

1) Il cinema è un’arte e un’arma: anzi un’arte/arma, e come tale verrà vista e utilizzata, in modo più o meno forte e consapevole. Mussolini definisce il cinema come “l’arma più forte” e, come lui, tutti i dittatori cercheranno di usarlo come mezzo per dimostrare la bontà delle scelte e intenzioni e per colpire il nemico in modo diretto o subliminale.
2) I sistemi totalitari cercano di esercitare al più presto un controllo e una politica dirigistica su tutte le arti. Il cinema, “arte totale” e più dotata di poteri di suggestione e di verosimiglianza, viene così a godere di maggiori attenzioni ed è soggetta a maggiori pressioni.
3) I dittatori, che da una parte si presentano come apostoli della modernità, cavalcano il mezzo di comunicazione più moderno, quello più capace di amplificare il valore profondo di un loro gesto o di una loro frase cercando di conciliare azione di modernizzazione e conservazione, di combinare tecnologie avanzate e regressione ideologica e rendere visibili, attraverso il cinema, gli scenari possibili e le radici culturali, religiose, etniche a cui la loro azione si ispira. Assai opportunamente J. Herf ha usato, a proposito del nazismo in particolare, la definizione di “modernismo reazionario”.
4) I dittatori incrementano, grazie alla rappresentazione cinematografica, i fenomeni parareligiosi di fideismo e di culto che hanno legami profondi con le religioni dei rispettivi paesi.
5) È legittimo osservare il fenomeno nella sua triplice articolazione ricordando che, come per il mistero trinitario si è parlato di somiglianza e non di identità, in questo caso un’analisi comparata può darci gli elementi comuni e cogliere le dissimilazioni e le differenze profonde.
6) Sullo schermo confluiscono, si mescolano, si ordinano, secondo parametri nuovi, temporalità diverse: il tempo della festa e quello della lotta, il tempo del dolore e del sangue e quello della catarsi, i tempi della liberazione e quelli dell’assoggettamento a rigide discipline, i tempi e i ritmi della vita di un uomo e quelli di una nazione, i tempi cerimoniali e quelli del mito, i tempi circolari e reversibili e quelli irreversibili.
7) Il processo di lievitazione e di espansione dell’immagine cinematografica dei dittatori è tale che l’identificazione com la nazione non è un punto d’arrivo, ma un obiettivo intermedio: l’aspirazione reale di Stalin come di Hitler, di Mussolini come di Pio XII, è di puntare all’universalità o all’ecumenismo. Il cinema offre materialmente questa nuova opportunità di una presenza in effigie più vera del vero, in quanto più vicina e più portata a comunicare direttamente com il singolo spettatore a offrirgli la particella del corpo e del sangue in forma di comunione periodica.
8) I dittatori si propongono come artefici di nuovi mondi, di mondi perfetti: il cinema, soprattutto per Hitler e Stalin, li vede progressivamente spostarsi e moltiplicare i loro ruoli, rendendoli, nello stesso tempo, oggetti di culto e soggetti della creazione cinematografica, creatori di cinema a tutti gli effetti. Ci sarà un punto in cui nulla potrà essere realizzato in Unione Sovietica e in Germania, se non coinciderà col pensiero e con le strategie dei due dittatori. Forse da un certo momento in poi si può cominciare a capire che per questi dittatori-taumaturghi non era importante l’azione di governo, quanto la capacità di messa in scena e di direzione delle masse.
9) Le immagini prodotte dalle macchine penetrano con violenza nell’immaginazione collettiva : su questo aspetto e sulla funzione teleologica reale dei fenomeni di culto sembra utile e necessario ricorrere a un’osservazione di Benjamin fatta nel saggio sull’Opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica del 1936-37:

Il fascismo tende a un’estetizzazione della vita politica. Alla violenza esercitata sulle masse, che vengono schiacciate dal culto del duce, corrisponde la violenza da parte di un’apparecchiatura di cui esso si serve per la produzione di valori culturali. Tutti gli sforzi in vista di un’estetizzazione della politica convergono verso un punto. Questo punto è la guerra.

 


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