Caligramas
Ferreira Gullar
TRADURSI
Una parte di me
è tutto il mondo;
un’altra è nessuno,
fondo senza fondo.
Una parte di me
è moltitudine;
un’altra parte stranezza
e solitudine.
Una parte di me
pesa, pondera;
un’altra parte,
delira.
Una parte di me
pranza e cena;
un’altra parte,
si spaventa.
Una parte di me
è permanente;
un’altra parte
si sa improvvisamente.
Una parte di me
è solo vertigine;
un’altra parte,
linguaggio.
Tradurre una parte
nell’altra parte
- che è una questione
di vita o morte –
sarà arte?
Traduzione di Cristiana
Cocco
Nella poesia di Ferreira Gullar raramente
si rompe il vincolo tra la parola scritta e la parola parlata nel
contesto poetico. Neppure le sue poesie della fase concreta hanno
mai perso di vista la contiguità con il ritmo del parlato.
I suoi versi, nel corso del tempo, sono apparsi sulla pagina in modo
vario: nei primi libri, il verso libero era utilizzato per mettere
in risalto la sonorità, per enfatizzare i sensi o per rappresentare
iconografi camente ciò che veniva detto. Dopo un breve intervallo
concretista, durante il quale la spazializzazione ha praticamente
sostituito il ritmo del parlato e si è autoimposta, come da
norma,quale traccia principale di signifi cato, è sopraggiunta
l’altrettantobreve tappa della poesia “popolare”,
nella quale i versi si sono forgiati sul modello rigoroso della redondilha
maior. Infi ne, a
partire da Dentro da noite veloz, si è affermata la particolare
forma del verso del poeta, che persisterà fi no all’ultimo
libro: la ripartizione della frase in brevi segmenti, dall’intento
iconografi co, semaforico o semplicemente ritmico.
In “Muitas vozes”, si legge “”la mia poesia
/ è un tumulto, uno strepito: / basta aguzzare gli orecchi”.
In verità, sin da Dentro da noite veloz, benché i versi
siano di estensione molto variabile, le frasi si organizzano naturalmente
nelle cadenze basiche della tradizione versifi catoria portoghese.
Ossia, la sua non è solo poesia da leggere a voce alta. È
poesia da leggere a voce alta e cadenzata secondo i metri preferenziali
della tradizione portoghese: quelli il cui ritmo, nel corso dei secoli,
è diventato quasi una seconda natura.
Forse tenendo conto di ciò, Gullar arricchisce le sue poesie
nella loro oralità. Ascoltandolo, s’impone una dizione
propria dei suoi versi, che sottopone la superfi cie del disegno della
poesia sulla pagina alle sequenze più caratteristiche della
tradizione della lingua portoghese: le redondilhas e, principalmente,
i due tipi di decasillabi defi niti nel Rinascimento. Qui e lì,
le cesure di questi versi e l’alessandrino. Dopo aver ascoltato
i suoi versi
marcati da un’intonazione lievemente oratoria che poggia sulle
pause sintattiche e sul ritmo corporeo della respirazione, si comprende
immediatamente la distribuzione spaziale propria della poesia di Gullar:
essa stimola quel frastagliarsi di sensi che non si mantengono, che
cessano di esistere nel corso della lettura, ma che funzionano da
armonizzatori o da dissonanze, che sottolineano o indicano i percorsi
perduti o tralasciati in nome del movimento principale.
Quanto ai temi, c’è una costante in questo poeta dai
mille volti. La banana che marcisce nel piatto, le tracce zuccherine
lasciate nella memoria da un altro frutto, il gusto di accennare le
azioni del quotidiano ed il loro peso nella memoria individuale, la
ricerca del senso personale e contingente in ogni icona culturale
o religiosa, la celebrazione dell’imperfezione, del sudiciume,
di tutto ciò che reca il marchio della lotta dell’uomo
per la vita e per l’affermazione della solidarietà, e
dello sgomento di fronte alla bellezza. Questo è il tema e
il tono specifi co di questa poesia, che, anche nei momenti in cui
è impallidita davanti all’imperativo di programmi poetici
o politici, si è sempre mantenuta ad un livello tra i più
alti della moderna lirica di lingua portoghese.
(Trad. di Andrea Santurbano)