Tra Speranza e Pace
Paolo Dall'Oglio
“Speranza nell’Islam”
significa sia la speranza di cui vivono i musulmani, sia la speranza
che noi nutriamo nei musulmani, nello spirito della dichiarazione
conciliare Nostra aetase, n.3, Che recita:
La Chiesa con stima
i musulmani che adorano il Dio uno, vivente e sussistente, misericordioso
e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che há parlato
agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai Suoi
decreti anche se nascosti, come a Dio si sottomise Abramo, al qual
la fede islamica volentieri si riferisce. Venerano Gesù come
profeta, benché non lo riconoscano come Dio, onorano la sua
madre verginale Maria, che talvolta devotamente invocano. Inoltre
attendono il giorno del giudizio, quando Dio darà la retribuzione
a tutti gli uomini risuscitati. Per questo apprezzano la vita morale
e rendono culto a Dio soprattutto com la preghiera, le elemosine e
il digiuno. E poiché nel corso dei secoli non pochi dissensi
e inimicizie sono sorti tra i cristiani e i musulmani, questo sacro
Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e cercare sinceramente
la mutua comprensione, a difendere, a promuovere insieme la giustizia
sociale, i valori morali, la pace e la libertà per tutti gli
uomini.
Qui evidentemente,
non si tratta di “dimenticare il passato” nel senso di
uma rimozione della memoria storica, ma nel senso di porre um nuovo
inizio sgombrando il campo, per quanto possibile, da rancori e pregiudizi,
il che richiede un’assunzione in profondità della memoria
storica. Questa tesi, “speranza nell’Islâm”,
vuole essere um atto di adesione all’esortazione conciliare,
specialmente nel senso della “mutua comprensione” riguardo
alle aspettative per il futuro, il quale non può che essere
comune, dei cristiani e dei musulmani in vista Del “giorno del
giudizio”. Studiare la “speranza nell’Islam”
vuole essere um atto di discernimento spirituale che permetta di cogliere
qualcosa delle vie lungo le quali lo Spirito conduce in nostri fratelli
musulmani verso uma metastorica pienezza di Verità. Un atteggiamento
del genere è stato spesso definito ampiamente illusorio, e
lo sarebbe davvero se evitasse di guardare in faccia alle difficoltà
che il rapporto tra cristiani e musulmani ha sempre incontrato. Ma
non è illusione sperare che l’Onnipotente vinca i nostri
“realismi” e ci conduca ad un’autentica fraternità
nel Suo Nome. D’altronde anche i tempi del movimento ecumenico
sembrano spesso prendere dei ritmi “escatologici”, ma
ciò non fa diminuire l’impegno profuso per l’unità
intraecclesiale. Come dice l’amico don Vittorio Ianari:
La sfida è proprio
quella di lavorare com fiducia, testimoniando come cristiani uma profonda
fede nell’amicizia, con lo sguardo attento a cogliere quella
nuova alba del mondo musulmano che ancora tarda a venire. Si tratterà
forse di compiere infiniti “primi passi” che ci daranno
la sensazione di essere sempre agli inizi e di non arrivare a vedere
il futuro (...) essere uomini e donne del dialogo non necessariamente
vuol dire essere al tempo stesso coloro che il dialogo vedono realizzato.
Riunendo esponenti
di tutte le religioni per la giornala mondiale di praghiera per la
pace, nell’ottobre del 1986 ad Assisi, il papa Giovanni Paolo
II há realizzato un atto profetico di portata universale non
ridimensionabile ad um gesto di irenica strategia. Mirabile ordalia
di uomini di pace e di preghiera per il quali la guerra in nome di
Dio è un gesto blasfemo e che chiedono la discesa dal Cielo
d’un Fuoco che bruci le divisioni, quella santa assemblea è
frutto dei voti e delle intercessioni di uomini di pace como Francesco
d’Assisi apostolo disarmato e fiducioso presso il Malik al-Kâmil
a Damietta. È proprio in seguito alle riedizioni di quella
giornata, e nel solco di quella benedizione, che, in una lunga serata
di spirituale amichevole colloquio com lo Sayh Ishâq Idrîs
Sakuta riguardo al futuro del mondo musulmano, è maturata l’idea
di scrivere della speranza nell’Islam. L’amicizia com
la Comunità di S.Egidio, che continua a rinnovare e ad allargare
l’esperienza di Assisi, ci fa desiderare che anche queste nostre
pagine siano un apporto seppur limitato allo sforzo dialogico dei
cristiani nella Chiesa di oggi, a cominciare dalla Chiesa che è
pellegrina con Pietro in Roma.
Il nostro interesse per l’Islam, in quanto figli di sant’Ignazio
di Loyola, viene da lontano. Quel nobiluomo basco, che era nato in
um contesto che ancora viveva dell’epopea della reconquista
del territorio andaluso agli arabi musulmani, visse la sua vita apostolica
in un’Europa atterrita dai turchi i quali, dopo la conquista
di Costantinopoli, avanzavano nella regione balcanica e giungevano
a minacciare il cuore dell’Europa. Egli si pose, nel suo rapporto
coi musulmani, in chiave di contrapposizione netta e non poteva essere
diversamente dati i tempi, tuttavia egli visse, anche da questo punto
di vista, uma profonda conversione ed uma continua evoluzione. In
seguito alla conversione, Ignazio, che non avrebbe esitato a risolvere
con un duello una discussione teologica com um moro, fu condotto a
desiderare di pellegrinare fino a Gerusalemme e di restarvi per vivervi
poveramente, come un discepolo del Signore, aiutando le anime. L’accento
si è quindi già spostato decisamente dalla Terra Santa,
e dalla vittoria delle persone d’ogni luogo e condizione perché
possano trovare. Dio. Il cuore di questo cambiamento è la sua
esperienza di personale rapporto affettivo col Gesù dei vangeli.
In due meditazioni fondamentali, in vista della seqüela cristiana,
della seconda settimana degli Esercizi spirituali (91-100 e 136-148),
Ignazio propone di immaginare la seqüela cristiana nella forma
d’una “guerra santa”, ma lê armi non sono
quelle del mondo ma bensì quelle dell Gesù povero e
umiliato che proprio stando in Geruralemme ínvia i suoi a combattere
le forze del nemico che si trova in Babilonia. La nostalgia di Gerusalemme,
dove Ignazio fu pellegrino nel 1523 ma dove non poté rimanere
com’era invece suo desiderio, rimarrà una costante nella
sua vita. Il p. Kolvenbach, in uma conferenza nel 450º anniversario
dell’ordinazione sacerdotale di Ignazio e dei primi compagni
a Venezia, ha descritto l’attesa veneziana d’una nave
che li portasse in Terra Santa nel 1537; la loro priorità apostolica
e la loro strategia era sostanzialmente la stessa del primo pellegrinaggio
di Ignazio: “essere a servizio delle anime”, “andare
in mezzo agli infedeli” e “vedere se potesse fare qualche
frutto”. Per loro l’andare al mondo musulmano era una
priorità ed era ritenuta la missione più difficile e
necessaria; e partire da Gerusalemme era voler essere mandati da Gesù
e voler imitare lo stile missionario di Gesù. Il pellegrinaggio
fu impossibile a causa della guerra coi turchi, e la compagnia nascente
prese la via di Roma, altra Gerusalemme, per essere inviata dal “Vicário
di Cristo”; ma la priorità apostolica rimase la stessa
come dimostrano le espressioni delle bolle papali di fondazione: “inviarli
presso i turchi”, “inviarli fra i turchi”; laddove
per turchi si intendevano ormai generalmente i musulmani:
Il turco rappresentava
l’unica importante sfida capace di distruggere la fede cristiana
e la civiltà europea (...) “il turco” provocava
un insieme di reazioni altamente emotive e quasi apocalittiche. In
poche parole, essere inviato “anche ai turchi” significava
che i membri della nuova compagnia erano disposti ad assumersi anche
la missione più difficile alla quale uno poteva essere inviato.
Ma lo scopo è
sempre quello di “aiutare le anime”. Notevole è
il parallelo com la Regola non bollata di san Francesco, del 1221,
dove si parla della “cortesia” e della “sottomissione”
di cui daranno prova i frati minori attendendo, per predicare, di
vedere che sia Volontà di Dio; ed è sviluppando tale
vocazione allá santificazione del mondo attraverso la presenza
nascosta e la testimonianza discreta, sul modello della Famiglia di
Nazaret, che Charles de Foucauld realizzerà la sua Idea di
vita religiosa nel contesto musulmano la quale tanta parte avrà
nel rinnovamento e nell’approfondimento, sia da parte dei francescani
come dei gesuiti, dell’antica sollecitudine dei loro fondatori
per la salvezza dei figli di Ismaele.
Nel celebrare l’anniversario
dell’ ordinazione sacerdotale d’Ignazio è bene
per noi richiamare il significato della Formula dell’Istituto:
“mandato ai turchi”, non come a nemici o con spirito di
crociata, ma “andando in mezzo” a loro com amiscizia e
amore. Noi siamo mandati come vi andò Ignazio, come uomo di
fede umile e sincero, sollecito soltanto di servire gli altri in ciò
che riguarda la vita spirituale, con disciplina di guerriero, ma come
operarore di pace. Noi andiamo nel dialogo di una vita partecipata,
da uma parte ascoltando e imparando, ma anche testimoniando e offrendo.
E se Dio vorrà, fará maturare dei frutti nei modi e
nei tempi da Lui voluti.
Eredi di uma tradizione,
con le sue luci e le sue ombre storiche, eccoci dunque chiamati ad
entrare in dialogo com um testo coranico fondante per la speranza
escatologica dell’Islam. In effetti interpretare un texto è
entrare in dialogo com la realtà umana che lo ha prodotto.
Un dialogo tra persone è ben posto quando via sia ascolto reciproco,
reciproco influenzarsi senza tentativi di plagio, reciproco rispetto
per l’alterità e la differenza, giusta considerazione
del proprio punto di vista senza assolutizzazione, rinuncia all’ideologia
e apertura all’esperienza graziosa di verità che accade
nell’incontrarsi... e l’interpretazione corretta d’un
testo è analoga ad un buon dialogo tra persone.