Una donna israeliana
racconta la pace e il perdono
Maria Coppolecchia
Ho conosciuto Manuela
Dviri nel parteur del teatro Verdi, dopo uno dei tanti riconoscimenti
alla donna e al suo impegno neanche tanto modesto nella guerra quotidiana
per la vita . Erano invitati a ricevere un premio quanti si stanno
battendo a diversi livelli di cultura e di impegno politico nella
guerra arabo israeliana ed erano presenti,tra il pubblico, le vedove
dei militari di Nassiria. Lei, che in Libano ha perso uno dei suoi
tre figli, si è rivolta a loro e si è commossa davanti
a riflettori e telecamere, nel ricordare quel giorno di febbraio del
1998… lo scontro con i Hezbolla e Jonatha…
Un viso solare, abbronzato, una giovane donna di una bellezza matura
e mediterranea, che lascia indovinare nello sguardo deciso e disincantato
la sua lotta,all’indomani del funerale .Il lutto non le impedì
allora , di gridare il dolore per la morte che l’aveva colpita
nella sua casa di Tel Aviv e che aveva già denunciato esprimendo
il suo dissenso politico al governo con dichiarazioni infuocate sulla
inutilità e la stupidità della guerra condotta fuori
dai confini del paese. Da allora, lasciato il suo lavoro all’
Istituto di Ricerca Weizmann di Rehovot cominciò a dedicarsi
completamente alla sua personale campagna per la vita contro la guerra.
M.C. Quanti semi di
violenza e rancore ha raccolto nel recente passato intorno a lei,
nel suo paese?
“Innumerevoli. Basta guardarsi intorno per vedere quanti e quali
muri si sono creati tra i due popoli, e non solo muri o recintati
concreti. Quelli metafisici a volte sono persino peggiori di quelli«veri».”
La cultura di morte
, l’assenza di speranza , l’offesa della giustizia,l’imbarbarimento,
la difesa della vendetta e il rancore che si annida nel cuore: sono
muri questi molto più duri da abbattere perché non si
può creare nessuna breccia nella parete di gomma che rimbalza
azioni violente e alla intifada risponde con la bomba,o l’attentato.
Eppure Manuela ha iniziato ad organizzare sit-in, ha rilasciato dichiarazioni
alla stampa, promosso campagne di dissenso alla politica governativa;
ha cominciato in modo professionale a scrivere come giornalista ,
a partecipare a trasmissioni televisive, a rilasciare e fare interviste:
la violenza non è un soluzione!
M.C: “La pace
porta la sicurezza” , questa è la sua fede , in netto
contrasto con quanti pensano invece ad armarsi , a vigilare, a contrastare
con la forza armata un attacco palestinese, come se solo la sicurezza
possa essere foriera di pace.
“Per chi vive
in pace con i propri vicini sembra ovvio che la pace porti sicurezza.
Non è così per chi ha paura dell’altro. Ci vuole
coraggio, vivendo in un paese in guerra, in un paese, come quello
d’Israele , circondato da popolazioni considerate fino a pochi
anni fa, nemiche , credere in un futuro di pace, collaborazione e
pacifica vicinanza. Ma non è impossibile . E ,a mio parere,
a lungo termine, conviene.”
M.C. Una scommessa
sulla pace perché la morte di suo figlio non sia stata vana…”
“ Forse... di
certo la morte di tutti i giovani morti in questi anni, israeliani
o palestinesi,è stata inutile e di certo un giorno ci sembrerà
ancora più inutile ... come ci sembrano oggi inutili i morti
della prima guerra mondiale. La sua morte rimarrà sempre inutile,
ma ciò che io ho fatto per riscattarla ha, spero, voglio credere,
salvato la vita di altri.”
Manuela si illumina
quando sorride, la testa rovesciata e le mani a toccarsi il ricciolo
corto che sopravanza dalla collana di pietre: da due anni è
riuscita a dar vita ad un progetto che salva davvero la vita di altri
figli della sua terra : bambini e bambine con patologie genetiche
infauste che solo l’intervento chirurgico può correggere
nei primissimi mesi di vita….
M.C. Se nei suoi libri
“La guerra negli occhi-Diario da Tel Aviv”- “Vita
nella terra di latte e miele” continua a battersi per la pace,
in questi ultimi anni il suo impegno si è concretizzato in
azioni di riconciliazione vera tra i due popoli: ci parli di Saving
Children.
Sì, «Saving
children», cioè «salvando i bambini» ,è
un progetto di cooperazione medica . israelo-palestinese , che vede
collaborare due equipe di pediatri, una israeliana e una palestinese,
per la cura di bambini palestinesi malati negli ospedali israeliani
in tutti i casi in cui la cura non sia possibile negli ospedali della
Palestina stessa. I fondi necessari arrivano, per grande parte , dall’Italia.
La prima regione italiana che ha generosamente aderito al progetto
è stata la Toscana,inoltre opera per noi il centro Peres per
la Pace.
M.C. La sua tenacia
ha vinto sullo scetticismo dei politici.
Il nostro è
un progetto che è partito dal basso , ma non è stato
difficile convincere i politici : dopo la Toscana hanno aderito al
progetto l’Umbria, L’Emilia Romagna, le Marche, la Calabria.
.
M.C.Quali progetti
di cooperazione sono stati avviati tra le donne palestinesi e israeliane?
L’ultimo , forse
il più simbolico, al quale ho preso parte, è stato quello
di donne palestinesi e israeliane che insieme hanno impastato e poi
cotto del pane.
Manuela nata in Italia
da padre ebreo di tradizione sionista è cittadina israeliana
da quando ha sposato nel “68 il giovane e promettente avvocato
Avraham Dviri,.
Ma la sua origine italiana tradisce il gusto per la moda del mondo
occidentale. Manuela non nasconde le sue preferenze nell’abbigliamento
sobrio e colorato che l’estate ci proprone. In Israele si è
fatta promotrice di una linea di moda israelo palestinese “Shalom
Banot”( in ebraico) o “Salam Banat”, (in arabo),cioè
“Pace tra donne” in cui donne israeliane producono camicie
in collaborazione con donne palestinesi che le ricamano.
Le camicie vengono vendute in Israele, nei negozi del partner israeliano
, “Comme il faut”, con molto successo.
M.C. Dopo queste e
altre iniziative che molte associazioni non governative promuovono
nei territori, ci sono seri e oggettivi indizi di cambiamento nel
tessuto culturale del suo popolo?
Lo spero. Per tutti
e due i popoli.
Il suo impegno nella
quotidiana lotta per la vita significa poi muovere tutta una organizzazione
di ambulanze con la mezzaluna palestinese per il trasporto dei neonati,
i chek point israeliani da superare con l’altra ambulanza dalla
stella di Davide ben visibile, pronta a ricevere i piccoli pazienti,
le loro famiglie; significa prendere accordi con i responsabili dei
due ospedali e Manuela ha trovato medici coraggiosi come lei che sfidano
il pregiudizio, la diffidenza,l’ovvietà.
Nel gennaio scorso
assieme ai due medici responsabili del Progetto e a Massimo Toschi,
assessore per la regione Toscana alla Pace ,perdono e riconciliazione,Manuela
è andata all’ONU per presentare Saving children al palazzo
di vetro.
Per i politici si tratta di ridefinire il valore culturale e semantico
del fare politica attribuendo un nuovo significato all’azione
sociale; per i medici si tratta di non venir meno ad un postulato
deontologico oltre che etico, per Manuela è uno dei modi per
costruire ponti tra muri veri o metafisici, come lei dice ,certo non
effimeri ma efficaci e reali.
“Vola solo chi osa farlo”.
Maria Coppolecchia