Professori di Siena a
Rio: un tuffo nell'italiano contemporaneo
Cristiana Cocco Carvalho
Gradito
e appropriato sono i termini che possono essere attribuiti al I Simpósio
de Estudos Lingüísticos do Italiano, organizzato dalla
Facoltà di Lettere della UFRJ e dall'Istituto Italiano di Cultura
di Rio de Janeiro tra i giorni 30 marzo e 1o aprile scorsi.
Gradito perché per noi, docenti di Lingua e Letteratura Italiana
all'estero, accogliamo sempre con entusiasmo e partecipazione la venuta
di nostri colleghi dalla Madre Patria. Questa volta l'evento è
stato ancor più interessante, visto che gli invitati dall'Italia
erano più che illustri: il Rettore dell'Università per
Stranieri di Siena, Prof. Pietro Trifone, la Prof.ssa Laura Ricci
e la Prof.ssa Paola Micheli.
Presenti moltissimi allievi e rappresentanti delle maggiori università
ove l'insegnamento di Lingua e Letteratura italiana e forte come,
oltre al corpo docente del Dipartimento di Italiano della UFRJ, professori
e allievi della UERJ, UFJF, UFF, UFBA, UFES, USP e UNESP.
Lo scambio di conoscenze e idee, inoltre, è più che
appropriato in un momento in cui le distanze tra i nostri due Paesi
di accorciano grazie a Internet, ma non per questo facilitano - anzi,
come vedremo possono addirittura confondere - un aggiornamento continuato
dei nostri quadri docenti. Le rare volte che Università Italiane
si fanno presenti con corsi per noi docenti è sempre nell'ambito
della Legge 153, spesso in epoche poco congeniali del periodo scolastico
e per periodi molto lunghi, cosa che rende impossibile la frequenza
continua.
Quindi, benvenuto al I Simpósio, egregiamente organizzato,
breve, ma ricco di vecchie e nuove tematiche interessanti per tutti
noi, docenti e discenti.
I temi scelti dal Prof. Trifone e dalle sue colleghe, infatti, si
rifanno a tutto ciò che riguarda il processo di insegnamento-apprendimento
dell'italiano contemporaneo, senza però tralasciare anche uno
sguardo a ciò che storicamente hanno significato questi topoi
nei tempi.
La conferenza tenuta dal Prof. Trifone il primo giorno del simposio
- nell'Auditorium della Facoltà di Lettere della UFRJ - aveva
per titolo "Tendenze dell'italiano contemporaneo". Grazie
ad un linguaggio accessibile e ad una spiccata simpatia, Trifone -
anzi Pietro, come ha tenuto subito a chiarire, segnando così
l'inizio del discorso sulla sempre più rara formalità
anche in contesti ove una volta era prassi dare del Lei ai professori
- ha stilato le caratteristiche più marcanti dell'italiano
parlato e scritto oggi in Italia. Tra i vari punti, possiamo ricordare
la tendenza ormai più che assodata del nuovo equilibrio che
si è creato tra la lingua scritta e quella parlata, ove quest'ultima
si prende la rivincita dopo secoli di dominio della prima. Qualcuno
poteva anche storcere il naso a questo punto, ma Trifone ha voluto
subito chiarire: noi linguisti non stiamo qui per giudicare, ma per
analizzare quali sono i fenomeni della nostra lingua.
Se il parlato ormai invade i media e, di conseguenza, il nostro linguaggio
di tutti i giorni, questo è un fenomeno 'contro' il quale non
possiamo fare niente, ma 'attraverso il quale' dobbiamo, come docenti,
agire per far capire ai nostri allievi che la lingua non è
un qualcosa di statico e che il cosiddetto italiano standard esiste
sì, ma che esistono anche altre forme influenzate dalla modernizzazione
della lingua.
Per dimostrare l'accettazione del parlato nello scritto anche da parte
di organi considerati conservatori, uno degli esempi fatti durante
la conferenza ha reso perfettamente l'idea di come la lingua italiana
stia subendo mutazioni in direzione del parlato, verso uno stile meno
ricercato e più duttile, meno rigoroso: ad esempio, l'anticamente
considerato errore madornale da genitori e professori "a me mi
piace" è stato giustamente scelto dal quotidiano "Il
Sole 24 Ore" come titolo di una rubrica gastronomica, passando
quindi da forma dell'italiano colloquiale fortemente stigmatizzata
e censurata ad esempio della evidente compresenza di vari stili comunicativi
nell'italiano contemporaneo, anche scritto.
A questo punto, di fronte a queste varietà, noi insegnanti
dobbiamo mostrarci consapevoli e, soprattutto, preparati a presentare
ai nostri allievi una realtà linguistica dove la coesistenza
di diversi registri dimostra il contrario di ciò che è
solitamente immaginato: che all'università si debba studiare
solo la lingua 'colta' o 'standard'. Invece no: Trifone afferma, insieme
alle sue colleghe - e mi associo a questa sua certezza - che anche
in un'università si deve mediare la conoscenza di vari registri
affinché i nostri discenti sappiano poi usarli a dovere quando
ne abbiano bisogno, anche per non creare situazioni del tipo "sono
andato in Italia e non capivo niente di quello che dicevano",
ormai famose tra noi.
Ricerche di Linguistica Applicata all'insegnamento di lingue straniere
tanto in Italia come in altri paesi, tra i quali il Brasile, indicano
che solo attraverso una competenza comunicativa completa, in cui l'allievo
si faccia portatore di una conoscenza linguistica ed extralinguistica,
si raggiunge il vero obiettivo dell'apprendimento di lingua e cultura
di un paese. Trifone ha aggiunto che una recente ricerca guidata dal
famoso linguista Tullio de Mauro insieme a docenti e ricercatori dell'Università
per Stranieri di Siena - Italiano 2000 - ha dimostrato che oggigiorno
chi studia la lingua italiana non lo fa più soltanto grazie
alla sua immagine di lingua di una grande cultura, ma grazie anche
al grande interesse suscitato dalla possibilità del suo uso
come lingua professionale: un allievo su quattro studia l'italiano
per motivi di lavoro. Per questo dobbiamo aggiornarci e rivedere i
nostri concetti di 'cosa' e 'come' insegnare ai nostri allievi, affiancando
agli studi canonici anche alcune vertenti che mettono in risalto le
diversità linguistiche esistenti oggi in Italia, come viene
già fatto da alcune università brasiliane.
Riallacciandoci quindi alla realtà della nostra lingua, Trifone
in seguito ha parlato degli anglicismi presenti ormai in quantità
pazzesche anche nei nostri dizionari (lo Zingarelli porta il 4% di
voci straniere...) e della sorprendente resistenza dei dialetti che,
se negli anni '70 si immaginava fossero votati alla scomparsa, hanno
invece resistito, e malgrado oggigiorno presentino caratteristiche
diverse da quelli di una volta, probabilmente dovute alla capillare
diffusione dell'italiano standard, sono ancora di largo uso nella
loro accezione di dialetti regionali.
Per quanto riguarda l'inglese nell'italiano, molte delle persone presenti
hanno dichiarato non capire quasi più l'italiano parlato in
televisione o pubblicato sui giornali, dovuto all'invasione di termini
inglesi. Qui il professore ci ha offerto un'allettante alternativa
alla più facile accusa di ingerenza della cultura americana
sulla nostra. Usando un esempio pubblicato sul libro Piccolo libro
sulla globalizzazione e sul mondo che verrà, di Alessandro
Baricco, Trifone dà voce all'autore che racconta di aver visto
una coppia di sposini che, al momento di fare il filmino del matrimonio,
su una spiaggia bellissima del litorale calabro, vedendo una barchetta
ci sale su e imita la famosa scena del film Titanic, quando la protagonista
femminile allarga le braccia sorretta alle spalle dal suo compagno.
Tutto questo starebbe soltanto ad indicare una fortissima influenza
della cultura nord americana, se non fosse per un dettaglio: ad un
certo punto, i due sposini si mettono a parlare, e lo fanno in uno...
strettissimo dialetto calabrese! Chi esce vincitore da questa scena?
La cultura americana o quella dialettale calabra? Sicuramente la seconda,
dice Trifone, e mi associo: facendo propria la cultura dell'altro
la si trasforma in qualcosa d'altro, con un significato diverso. È
la nitida reazione alla globalizzazione della cultura di massa.
La questione interessante rilevata dal Prof. Trifone quindi è
proprio se questo uso dell'inglese caratterizza una colonizzazione
dell'italiano, pertanto un aspetto altamente negativo della globalizzazione,
oppure è un tentativo di ridicolizzare la lingua anglo-americana,
usandola, o come diremmo noi qui in Brasile rifacendoci al movimento
antropofagico, divorandola? Questo punto di vista ci ha aperto gli
occhi sulla possibilità di vedere questa apparente invasione
come una demistificazione, una sdrammatizzazione della tendenza mondiale,
e quindi anche italiana, dell'uso della lingua inglese, ormai veicolare
in vari campi del sapere. Perciò l'uso di know-how, pizza house,
pizza center, welfare, devolution, stock, chat, band ecc. non sarebbero
altro che un tentativo di inglobare termini ormai usati da tutto il
mondo occidentale, ponendo la parola 'fine' ad eccessivi campanilismo
di linguisti conservatori e puristi.
Per quanto riguarda invece la questione dei dialetti, ormai anche
in Internet si possono veder chattare ragazzi che parlano in dialetto,
quindi è una varietà diatopica che è entrata
anche nell'uso telematico della lingua ed è quindi votata a
rimanere tra noi e a non soccombere all'universalizzazione dell'italiano
standard, quanto piuttosto ad infuenzarlo, arricchendolo di termini
altrimenti usati soltanto in contesti familiari o gergali. Citando
Trifone:
"La rete è
un coacervo di realtà contraddittorie, di nicchie di contestazione
al credo della globalizzazione. Nelle chat si manifesta un anarchismo
linguistico non visto altrove: vi si usano i walls, muri virtuali
con frasi usate dai tifosi, ove si sente un forte campanilismo, un
massiccio uso del dialetto. Forse anche questa può essere considerata
una forma di contestazione contro l'appiattimento globale."
Concludendo, il Prof.
Trifone ha rilevato - anche grazie ai numerosi interventi avuti nel
dibattito alla fine della conferenza - la difficoltà che noi
italiani residenti all'estero affrontiamo, visto che siamo esposti
a diversi stili comunicativi, specialmente quando pensiamo alla stampa
e alla tv, fatto questo che causa una mancanza di modelli linguistici
in cui rispecchiarci. Per noi docenti la cosa si fa ancor più
problematica, visto che dobbiamo intermediare una lingua in continua
evoluzione e non abbiamo mezzi per poterla mantenere sempre aggiornata.
Per questo, ha affermato, la scuola e i centri universitari sono importanti:
attraverso di essi si può stimolare la conoscenza di tutti
gli stili linguistici di cui si ha bisogno per conseguire una padronanza
piena sulla lingua.
E, aggiungiamo noi professori, le nostre università potrebbero
e dovrebbero essere centri di interscambio continuato tra docenti
dei due paesi di conoscenze umanistiche. Ciò che si è
invece osservato dalle recenti politiche culturali difese dall'attuale
governo italiano è che esse punterebbero su un sapere tecnologico
invece che umanistico. È proprio questo uno dei temi che, a
conferenza ultimata, è stato poi dibattuto insieme ai professori
presenti che hanno rilevato il completo disinteresse da parte degli
organi competenti italiani che porta alla totale mancanza di una politica
di difesa dell'identità culturale italiana all'estero. Il Prof.
Trifone ha aggiunto che questa osservazione porta alla conclusione
che l'Italia semberebbe non aver ancora deciso se vuole o no diventare
un paese di cultura, una potenza culturale. Secondo lui, o si fa qualcosa,
o si rimarrà l'italietta della pizza, della mafia e della canzonetta.
Dopo la conferenza del Prof. Trifone abbiamo assistito a quella della
Prof.ssa Laura Ricci sempre dell'Università per Stranieri di
Siena, che aveva per titolo "Tipi di testo e tecniche di scrittura",
che si è dimostrata essere un'efficiente lezione tenuta specialmente
per gli allievi universitari presenti nell'auditorium. Didattica e
precisa, la Prof.ssa Ricci ha esplicato le differenze stilistiche
tra testi informativi, descrittivi, narrativi e argomentativi, attraverso
esempi molto chiari e accessibili, ponendo un accento anche lei sulle
trasformazioni linguistiche che si manifestano nei testi attuali.
Il 31 marzo il Prof. Trifone ha tenuto un'altra conferenza dal titolo
"L'italiano di oggi tra grammatica e uso della lingua",
davanti ad una platea piena di allievi, il che dimostra l'estremo
interesse da parte dei discenti su questo tipo di argomenti.
Trifone ha spiegato che la sintassi della lingua italiana diventa
sempre più semplice. Tende a diventare più lineare,
moderna, semplice, e che la pronuncia si adegua sempre di più
alla scrittura, con una conseguente aderenza della prima all'ultima.
Oggigiorno, anche pronuncie una volta considerate 'sbagliate' come
l'uso di 'o' aperte o chiuse in determinati vocaboli, sono ormai tollerate,
specialmente se chi sta parlando è un nostro allievo straniero.
Per quanto riguarda l'insegnamento e lo studio della grammatica, mentre
negli anni '80 e '90 c'era stato una specie di rigetto dell'ingerenza
grammaticale nell'insegnamento dell'italiano come lingua straniera
- e anche come lingua materna - oggi, a causa dell'esigenza di un'educazione
linguistica più completa che comprenda le varietà linguistiche
esistenti, è in atto la rivalutazione della grammatica, rinnovata
stante le strategie testuali, come uno degli strumenti per la comprensione
di queste diversità. Infatti, la conoscenza della grammatica
evita costruzioni pidginizzate, approssimative e interferite. Se pensiamo
poi ad uno straniero che studia la nostra lingua ci rendiamo conto
come la mescolanza di forme linguistiche e la grande varietà
di forme che si sovrappongono - di cui Trifone aveva già parlato
il giorno prima - può lasciare disorientato il nostro utente
medio.
Comunque, ciò che si sta osservando e che può interessarci
come insegnanti è la constatazione dell'abbassamento del baricentro
normativo: il linguaggio si sta democratizzando. Non dobbiamo quindi
più pensare all'italiano standard come modello assoluto e perfetto.
Oggigiorno, dice sempre Trifone, dobbiamo parlare non di uno standard
normativo, bensí di uno standard normale, effettivo, che cioè
si riferisce all'uso effettivo della lingua, sfera questa dove il
normativo è l'elemento centrale, con intorno elementi sub-standard.
Quali sono i criteri da seguire per scoprire se determinata espressione
è standard oppure no? Ne abbiamo 5:
1. la CODIFICAZIONE -
lo standard normalmente codificato in grammatiche o testi di riferimento;
2. l'EGEMONIA - se il termine tende ad affermarsi;
3. il PRESTIGIO - se con questo termine può farsi letteratura;
4. la FORMALITÀ - se è usata in contesti di uso formali;
5. la POLIFUNZIONALITÀ - se può coprire diversi registri
funzionali (ad esempio, se viene usato anche per il doppiaggio di
film).
A questo punto Trifone
ha presentato 5 punti critici dell'italiano riscontrati dal linguista
Francesco Sabatini attribuiti al neo-italiano, e cioè all'italiano
dell'uso medio, chiamato anche italiano neo-standard.
a. Il pronome GLI usato
anche per A LEI, cioè al posto di LE;
b. Il CHE come relativo di largo uso, anche in sostituzione di avverbi,
come nel caso di 'la casa che ci abito';
c. Il modo INDICATIVO al posto del modo CONGIUNTIVO;
d. L'INDICATIVO IMPERFETTO al posto del CONDIZIONALE PASSATO nel periodo
ipotetico dell'irrealtà;
e. L'uso della particella CI antecedendo il verbo avere C'HO FAME,
C'HO SETE.
Ecco un'esempio di analisi
fatta dal prof. Trifone di a): 1) è codificato parzialmente
(cioè in alcune grammatiche è registrato), 2) tende
all'egemonia, 3) non è di prestigio, 4) non è formale,
5) è meno versatile di LE.
Analisi di b): 1) non è codificata; 2) non tende all'egemonia;
3) non è di prestigio; 4) non è formale; 5) non è
versatile. Quindi, la forma è molto censurata, ed esiste ma
non è ammessa, è marcata molto negativamente. A questo
punto arrivo perciò alla conclusione che mentre il pronome
GLI usato come LE potrebbe anche stabilirsi in un futuro prossimo
come modernizzazione della lingua italiana, sicuramente per il relativo
CHE ci sono poche speranze che sia adottato da qualsiasi grammatico
come esempio anche di uso gergale - cosa che invece già succede
per usi impropri del verbo PIACERE con 'a me mi piace', come avevamo
visto nella prima conferenza di Trifone. Già le forme c), d)
ed e) sono di largo uso e passano quasi in tutti i criteri adottati,
quindi debbono essere usate come varianti.
Quindi, attenzione, colleghi: quando diciamo ai nostri allievi che
esistono varie forme coesistenti nella lingua italiana, dobbiamo anche
evitare la sovrinformazione con dati che in niente arricchiscono la
loro competenza grammaticale o dialogica, causando soltanto un eccessivo
input di strutture che loro, comunque, sarebbe meglio che non usassero!
Sempre lo stesso giorno, la Prof.ssa Paola Micheli ha tenuto la sua
conferenza dal titolo "Ultime tendenze negli approcci didattici",
in cui ha dimostrato come la conoscenza della glottodidattica odierna
è strumento imprescindibile per ottenere risultati soddisfacenti
nelle nostre classi di giovani ormai sempre più interessati
ad una competenza comunicativa completa che preveda, naturalmente,
lo studio di tutti gli aspetti culturali italiani.
Dopo un'esauriente introduzione in cui ha disposto l'evoluzione della
glottodidattica in Italia e nel mondo, la Prof.ssa Micheli ha messo
in risalto l'importanza della sociolinguistica nell'evoluzione degli
studi legati all'insegnamento della lingua straniera, grazie ai quali
siamo arrivati ad un approccio eclettico, che unisce il comunicativismo
degli anni '80 alla riflessione grammaticale, fulcro dell'approccio
strutturalista e dell'anteriore grammatico-traduttivo. Studio della
forma sí, quindi, ma senza trascurare gli altri aspetti culturali
suggeriti dall'antropologia che ha enormemente influenzato la nascita
della sociolinguistica, uno dei cardini dell'attuale didattica delle
lingue straniere.
Per arrivare ai più moderni studi glottodidattici, la Prof.ssa
Micheli ha messo in risalto il fatto che negli anni '90 si è
avuta un'ondata interculturale, che ha stimolato un nuovo modo di
vedere gli altri. I tre principi su cui si basa l'approccio interculturale
sono:
1. bisogna cambiare il nostro punto di vista per vedere il mondo con
gli occhi dell'interlocutore;
2. bisogna avere una buona conoscenza e una corretta interpretazione
del background culturale dell'interlocutore;
3. bisogna avere una comprensione generale della diversità
culturale e specifica degli aspetti della cultura dell'interlocutore,
non solo in termini contenutistici, ma anche di significato socioculturale.
Noi, soggetti - come i
nostri allievi - del processo di insegnamento-apprendimento, per usare
un approccio interculturale dovremo riflettere più profondamente
sulle differenze linguistiche e culturali del nostro interlocutore,
cercare di sentirci come l'Altro. Così si arriva ad un approccio
ove il multiculturale è frutto dell'incontro di culture diverse
e dell'accettazione delle varie esperienze culturali. Senza questo
obiettivo non si riesce ad arrivare ad un soddisfacente risultato
in termini di competenza comunicativa e interculturale.
In questo momento la Prof.ssa Micheli ha usato Balboni come riferimento,
usando una figura piramidale per spiegare i vari momenti contingenti
il processo di acquisizione, e sui quali l'allievo dovrà riflettere
per far parte attiva dello stesso.
Esplicitando le 3 dimensioni piramidali nel processo di insegnamento-apprendimento
di una lingua straniera, Paola si è riferita al n.1 come il
dominare le quattro macro-abilità linguistiche intese come
in Balboni ; il n.2 si riferisce all'uso consapevole della lingua
e la conseguente manipolazione in contesti variati; il n.3 si riferisce
ad un concetto più ampio, che prevede una competenza sociale,
in uno approccio sociolinguista, insieme alla competenza pragmatica
e a quella culturale, in cui bisogna sapere la lingua ma bisogna anche
saperla integrare, perciò saper gestire linguaggi verbali cosí
come non verbali, e quindi detenere una competenza extralinguistica,
e cioè cinesica, prossemica, vestemica e oggettemica . Secondo
la Prof.ssa Micheli, questo è l'obiettivo del processo di insegnamento-apprendimento
al quale dobbiamo tendere noi professori universitari. Se non si raggiunge
questa meta, si corre il rischio di formare legioni di allievi le
cui competenze sono destinate a rivelarsi insufficienti per qualsiasi
uso si voglia fare della lingua italiana.
Anche nel "Quadro comune di riferimento europeo" vengono
suddivise le competenze generali che uno studente di lingua straniera
dovrebbe raggiungere in sapere, saper fare, saper essere, saper apprendere,
dove nella categoria del sapere troviamo un'ulteriore suddivisione
nelle voci conoscenza del mondo, conoscenza socioculturale, consapevolezza
interculturale .
Valutando la competenza culturale, la Prof.ssa Micheli ha osservato
che forse questi metodi degli anni '80 non hanno funzionato così
bene come ci si aspettava anche perché una trascrizione del
parlato senza una rappresentazione visiva delle altre strategie comunicative
presenti in un dialogo, quali i gesti e le espressioni del viso, erano
artificiali e difficili da immaginare da parte dell'allievo. Oltre
a questo naturalmente c'è il fatto che la grammatica non era
presente nei LD4, rendendo quindi impossibile la necessaria riflessione
dell'allievo su quanto appreso.
Approfittando di questo incipit, la Prof.ssa Micheli ha potuto brevemente
difendere l'uso delle immagini cinematografiche come mezzo visivo
per supplire alla mancanza di una base immaginifica di ciò
che sono gesti e espressioni usate dagli italiani da parte dell'alunnato
straniero non in immersione.
Il 1o aprile, a completamento delle attività del I Simposio,
il Prof. Trifone ha tenuto la conferenza "La lingua del teatro
italiano: Luigi Pirandello, Eduardo De Filippo, Dario Fo", presso
l'Istituto Italiano di Cultura - Sala Italia, in cui ha spostato il
discorso della mancanza di una omogeinità linguistica italiana
dalle aule ai palchi, mettendo in risalto l'influenza negativa sul
teatro della cronica mancanza di una lingua comune diffusa nella comunicazione
parlata e scritta italiana portando, quindi, ad una limitazione dell'importanza
del ruolo del teatro italiano sullo scenario europeo.
Prendendo ad esempio Goldoni come caposcuola indiscusso del naturalismo
e della simulazione del parlato, Trifone si è riallacciato
a drammaturghi quali Pirandello con "una sua tipica insistenza
sulle difficoltà, sulle reticenze e sui sottintesi della comunicazione
interpersonale" e poi, proseguendo nel tempo e sulla falsariga
della naturalezza goldoniana insieme alla problematicità pirandelliana,
troviamo Eduardo De Filippo, che "tende a servirsi del mistilinguismo
italiano-napoletano per accedere a un ventaglio più ampio di
soluzioni espressive".
Trifone ha infine citato Dario Fo come "l'esempio più
chiaro dell'espressionismo e della deformazione carnevalesca del linguaggio
(che) parte dalle tipiche tecniche di sollecitazione del riso dei
buffoni medievali e dei comici dell'arte e [...] arriva fino al parlare
senza parole' [
] con il grammelot, l'accozzaglia di suoni vocali
privi di significato, ma resi significanti dall'abilità mimica
e gestuale dello stesso Fo".
A conclusione, posso dire che eventi di questo livello ci portano
una ventata di cultura e di freschezza linguistica impari, e spero
si ripetano con più frequenza nel nostro Brasile che tanta
passione dimostra per la lingua e la cultura italiane, attraverso
i numeri sempre più in crescita delle nostre matricole univiversitarie.
A conlusione, desidero fare i miei complimenti allo staff della UFRJ
per la qualità e serietà della proposta, sperando di
poter, in un futuro prossimo, unirci e dare continuità ad eventi
di questo tipo.