Dora Markus
Fu dove il ponte di legno
mette a porto Corsini sul mare
alto
e rari uomini,
quasi immoti, affondano
o salpano le reti. Con un segno
della mano additavi
allaltra sponda
invisibile la tua patria vera.
Poi seguimmo il canale
fi no alla darsena
della città, lucida di fuliggine,
nella bassura dove saffondava
una primavera inerte,
senza memoria.
E qui dove unantica vita
si screzia in una dolce
ansietà dOriente,
le tue parole iridavano
come le scaglie
della triglia moribonda.
La tua irrequietudine
mi fa pensare
agli uccelli di passo
che urtano ai fari
nelle sere tempestose:
è una tempesta anche
la tua dolcezza,
turbina e non appare,
e i suoi riposi sono anche più rari.
Non so come stremata tu resisti
in questo lago
dindifferenza chè il
tuo cuore; forse
ti salva un amuleto che tu tieni
vicino alla matita delle labbra,
al piumino, alla lima:
un topo bianco,
davorio; e così esisti!
2
Ormai nella tua Carinzia
di mirti fi oriti e di stagni,
china sul bordo sorvegli
la carpa che timida abbocca
o segui sui tigli, tra glirti
pinnacoli le accensioni
del vespro e nellacque un avvampo
di tende da scali e pensioni.
La sera che si protende
sullumida conca non porta
col palpito dei motori
che gemiti doche e un interno
di nivee maioliche dice
allo specchio annerito che ti vide
diversa una storia di errori
imperturbati e la incide
dove la spugna non giunge.
La tua leggenda, Dora!
Ma è scritta già in quegli sguardi
di uomini che hanno fedine
altere e deboli in grandi
ritratti doro e ritorna
ad ogni accordo che esprime
larmonica guasta nellora
che abbuia, sempre più tardi.
È scritta là. Il sempreverde
alloro per la cucina
resiste, la voce non muta,
Ravenna è lontana, distilla
veleno una fede feroce.
Che vuole da te? Non si cede
voce, leggenda o destino...
Ma è tardi, sempre più tardi.
(Eugenio Montale, Le
Occasioni; Parte prima)
Eugenio
Montale: Commento a "Dora Markus"
La
lirica consta di due par-ti distinte, scritte a molti anni di distanza
luna dallaltra: la prima parte risa-le infatti al 1928,
o al 1926, mentre la seconda è del 1939. Per comprendere la
complessa origine della poesia, è neces-sario richiamare alcuni
dati biografi ci dellautore. Montale non conosceva, né
conobbe mai, Dora Markus: aveva solo visto una fotografi a delle sue
gambe, inviatagli dallamíco Bobi Bazlen col seguente
bi-glietto datato 25 settembre 1928: «Gerti e Carlo: bene. A
Trieste, loro ospite, unami-ca di Gerti, con delle gambe meravigliose.
Falle una poesia. Si chiama Dora Markus». La data del biglietto
spingerebbe ad ascrivere al 1928 la prima parte della lirica, ma Montale
sosteneva di averla scritta due anni prima, nel 1926, sen-za riuscire
a concluderla («è linizio di una poesia che non
fu mai né fi nita né pubblicata e non lo sarà
maí»). La Gerti nominata da Bazlen è Gerti Fránkel
Tolazzi, una signora di Graz che Montale conosceva bene e che nel
1928 gli ispirò la poesia Carnevale di Gerti, compresa anchessa
nelle Oc-casíoni. Nellimmaginario del poeta la sconosciuta
Dora fi ní con lassimilarsi a Gerti, tanto è vero
che quando nel 1939 Montale decise di ritornare su Dora Markus («Alla
distanza di 13 anni (e si sente) le ho dato una conclusione, se non
un centro») il personaggio femmi-nile non è piú
la fantomatica Dora, ma proprio Gerti: a lei che occupa la seconda
parte di Dora M. lo Dora non lho mai conosciuta; feci quel pri-mo
pezzo di poesia per invito di Bobi Bazlen che mi mandò le gambe
di lei in fotografi a» (lettera a Silvio Guarnieri del 1964).
Il complicato intrec-ciarsi di proiezioni fantastiche e psichiche
che presiede al-laccidentata gestazione della lirica fa di Dora
Markus uno dei componimenti piú miste-riosi e segreti, ma anche
piú ricchi di oggetti-simbolo e di «occasioni»
taciute e infi ne risolte in una disperata e buia visione della realtà
del 1939, con gli orrori che la storia stava preparando - dellintera
produ-zione montaliana.
RIFLESSIONI SUL TESTO
Abbiamo già visto
come Dora Markus sia un personag-gio sostanzialmente di fantasia,
un mito poetico. La questione della controversa datazíone della
prima parte della lirica potrebbe acquisire nuove pro-spettive proprio
alla luce della correlazione fra Dora e un altro personaggio di fantasia
com-parso nella seconda edizione degli Ossi di seppia, Arsenio. Ammesso
che ambedue i per-sonaggi siano proiezioni della soggettività
del poeta (e certo sarebbe diffi cile negarlo), è in-teressante
cogliere i differenti atteggiamenti che essi rivelanonel loro rapporto
con la realtà. Arsenio è ancora alla ricerca di una
via duscita, di un muta-mento rispetto a quel «troppo
noto / delirio ... dimmobilità» fatto presagire
dal tempora-le imminente; e nel momen-to in cui il temporale giunge,
sperimenta dolorosamente la propria incapacità di calarsi in
una nuova e piú autentica dimensione, a causa della re-sistenza
opposta dalle «radici» che «con sé trascina,
viscide, non mai / svelte», e quindi dal-la sua stessa storia
di individuo. Dora invece appare animata da uninquietudine che
rimane in superfi cie (proprio come da superfi ciali variazioni di
colore dipende l«iridare» delle sca-glie / della
triglia moribonda), mentre il suo cuore è un lago / dindifferenza.
Ogni speranza di mutamento è per lei spen-ta, e il suo destino
è quello di brancolare senza meta at-tirata come una falena
dalla luce dei fari, afferrandosi per sopravvivere allincerta
fede in qualche inutile amuleto.Non sembra arbitrario insom-ma vedere
in Dora Markus un Arsenio dopo il temporale, riafferrato dall«onda
antica» della vita di sempre e ormai dimentico di ogni tensione
a individuare A segno di unaltra orbita»: il «fantasma
che ti sal-va» degli Ossi è ormai ridotto a un topo bianco,
/ davorío. Lo sviluppo logico della vi-sione del mondo
montalíana sembrerebbe perciò indicare per Dora Markus
una datazio-ne posteriore al 1927, anno in cui il poeta scrisse Arsenio,
e dunque confermare la testi-monianza offerta dal biglietto di Bobi
BazIen citato sopra, in base al quale la composizione della prima
parte della lirica dovrebbe collocarsi dopo il settembre 1928.