Campare cent'anni

Umberto Eco

Chissà quanti ricordano ancora la poesia di De Amicis: “Non sempre il tempo la beltà cancella – o la sfi oran le lacrime e gli affani; - mia madre ha sessent’anni, - e più la guardo e più mi sembra bella”.Non è un inno alla bellezza femminile, ma alla pietà fi glia-le. Pietà che oggi dovrebbe spostarsi sulla frontiera dei no-vant’anni, perché una signora si sessanta, se appena è in buona salute, si presenta ancora fresca e attivissima – e, se poi ha fatto ricorso al chirurgo plastico -, dimostra vent’anni di meno. Peraltro ricordo che quando ero ragazzo mi dicevo che non era giusto superare i sessant’an-ni, perché dopo sarebbe stato terribile sopravvivere acciac-cato, bavoso e demente in un ricovero per poveri vecchi. E quando pensavo al Duemila mi dicevo che sì, teste Dante, avrei potuto vivere sino ai settanta e quindi arrivare sino al 2002, ma era un’ipotesi si molto re-mota e di rado si raggiungeva quella venerabile età.Ci rifl ettevo qualche anno fa quando ho incontrato. Hans Gadamer che aveva già cento anni, era venuto da lontano per un convegno e mangiava a tavola con gusto. Gli ho chiesto come stava e lui mi ha risposto con un sorriso quasi mesto che gli facevano male le gambe. Veniva voglia di prenderlo a schiaffi per tanta ilare impuden-za (infatti è vissuto benissimo ancora due anni).Noi continuiamo a pensare di vivere in un’epoca dove la tecnica sta facendo passi da gigante ogni giorno, ci chiedia-mo dove si andrà a fi nire con la globalizzazione, ma con minore frequenza rifl ettiamo sul fatto che lo sviluppo massimo rag-giunto dall’umanità (e in questo campo l’accelerazione supera quella di ogni altra impresa) è l’allungamento dell’età media.In fondo, che l’uomo avreb-be potuto dominare la natura, lo aveva oscuramente compre-so il troglodita che era riuscito a produrre artifi cialmente il fuoco, per non dire di quel nostro antenato più maturo che ha inventato la ruota. Che potessimo costruire un giorno macchine volanti lo dicevano già Ruggero bacone, Leonardo e Cyrano di Bergerac; che si sa-rebbe arrivati a moltiplicare la velocità dei nostri spostamenti era chiaro dall’invenzione del vapore; che avremmo avuto la luce elettrica si poteva supporre sin dai tempi di Volta.Ma per secoli gli uomini hanno sognato invano l’elisir di lunga vita e la fontana dell’eter-na giovinezza. Nel Medioevo esistevano ottimi mulini a vento (ancor buoni oggi per produrre energia alternativa) ma c’era una chiesa dove, chi ci andava in pellegrinaggio, poteva otte-nere il miracolo di vivere sino a quarant’anni.Siamo andati sulla luna più di trent’anni fa e non riusciamo ancora ad andare su Marte, mentre ai tempi dello sbarco lu-nare una persona di settant’anni era arrivata alla fi ne della sua vi-ta mentre oggi (infarto e cancro a parte) ha speranze non irragio-nevoli di arrivare ai novanta.Insomma, il grande progres-so (se di progresso vogliamo par-lale) è stato nel campo della vita più che in quello dei computer. I computer erano già annunciati della macchina calcolatrice di Pascal, che è morto a trentanove anni ed era già una bella età. Peraltro Alessandro Magno e Catullo sono morti a trentatré anni, Mozart a trentasei, Cho-pin a trentanove, Spinoza a quarantacinque, San Tommaso a quarantanove, Shakespeare e Fichte a cinquantadue, Cartesio a cinquantaquattro, Hegel, vec-chissimo, a sessantuno.Molti dei problemi che dob-biamo affrontare oggi dipendo-no dall’allungamento della vita media. Non sto solo parlando delle pensioni. Anche l’imensa migrazione del Terzo mondo verso i paesi occidentali nasce certamente dal fatto che qui milioni di persone sperano di trovare cibo, lavoro e tutto quel-lo che promettono cinema e te-levisione, ma cercano anche di raggiungere un mondo dove si vive più a lungo – e comunque di fuggire da uno dove si muore troppo presto.Eppure (anche se non ho le statistiche sottomano) credo che la somma che spendiamo per le ricerche gerontologiche e la medicina preventiva sia infi ni-tamente minore di quella che spendiamo per la tecnologia bellica e per quella informatica, per non dire che sappiamo ab-bastanza bene come distruggere una città e come trasportare l’in-formazione a basso costo, ma non abbiamo ancora idee preci-se su come conciliare benessere collettivo, avenire dei giovani, sovrappopolazione del globo e alungamento della vita.Un giovane può pensare che il progresso è quello che gli con-sente di emettere messaggini col cellulare o volare a poco prezzo a New York, mentre il fatto stu-pefacente (e il problema irrisol-to) è che si prepari, quando va bene, a diventare adulto a qua-rant’anni mentre i suoi antenati lo diventavano a sedici.Certamente bisogna ringra-ziare Iddio o la sorte perché viviamo più a lungo, ma dobbia-mo affrontare questo problema come uno dei più drammatici del nostro tempo, non come un fatto pacifi co. Guarda cosa si deve fare per campare...

 


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