Interpretare Canudos:
Propaganda Messianica e Profetismo Visionario nel Serão
Gian Luigi De Rosa
Le vicende di Canudos hanno
avuto, dalla fine del XIX secolo, una serie di interpretazioni e di
riletture sia in ambito letterario che cinematografi co. La storia
di Antônio Maciel, o Conselheiro, e dei suoi seguaci, passati
alla storia come jagunços, è diventata soggetto letterario
di una lunga serie di opere sia in Brasile che oltre confi ne. Si
va dai classici Os Sertões (1901) di Euclides da Cunha e Os
Jagunços (1898) di Afonso Arinos, a La Guerra del fi n del
Mundo (1981) di Mario Vargas Llosa, Le mage du sertão (1952)
di Marchal Lucine, fi no a Veredicto em Canudos, titolo della traduzione
brasiliana del romanzo Ítélet Canudosban (1970) di Sándor
Márai, senza contare i numerosi lavori di carattere accademico-scientifi
co.
Tuttavia, l’enigma
di Canudos, a tutt’oggi, non risulta ancora pienamente risolto,
soprattutto perché ha ancora la forza di dare vita a decine
di letture interpretative che fondono e confondono teologia della
rivoluzione, messianismo, millenarismo e discorso politico, avendo
come sfondo la complessità sociale dell’umanità
che vive e sopravvive nel sertão nordestino.
Per capire Canudos
e la violenza usata dallo stato per sconfi ggere e annientare quella
che era stata, erroneamente, considerata come una delle ultime roccaforti
dei monarchici in seno alla na scente repubblica brasiliana,
è necessario evidenziare una serie di elementi che hanno permesso
la nascita della comunità di fanatici religiosi seguaci
del Conselheiro e ricostruire, anche se sinteticamente, lo scenario
storico-politico in cui essa si sviluppò, evidenziando la peculiarità
delle circostanze.
Tra le cause che hanno
determinato, da un lato, il fi orire delle comunità messianiche
e millenariste nel sertão brasiliano, di cui Canudos è
parte integrante, e il banditismo itinerante dei cangaceiros, va evidenziata
chiaramente la problematica realtà socio-geografica del Nordeste
brasiliano, le cui condizioni di vita, tradizionalmente al limite
della tolleranza, sono terreno fertile per tensioni e confl
itti latenti che, entrando in combustione violenta, possono provocare
l’esplosione sociale.
Da un punto di vista
politico, la nascita della repubblica brasiliana nel 1889 e lo scoppio
della rivolta federalista nel sud del paese nel 1893, protrattasi
sino al 1895, sono due elementi fondamentali per comprendere la diffi
denza e il punto di vista del potere centrale nei confronti di Canudos.
Tale cambiamento politico crea, al contempo, un enorme vuoto ideologico
nell’immaginario popolare nordestino, perché, al posto
della paternalistica fi gura dell’imperatore dom Pedro II, che
ne era ormai parte integrante, subentra un’entità sconosciuta,
la repubblica, visibile solo attraverso editti e gabelle.
La complessità
dell’evento fa sì che qualsiasi tipo di interpretazione
possa sembrare verosimile, così quando la neonata repubblica
vara la separazione tra stato e chiesa e il Conselheiro giudica taleatto
come uno dei segni dell’incombenza dell’Apocalisse –
vedendo nella repubblica la personifi cazione dell’Anticristo
– la sua condizione di anti-repubblicano lo viene a caratterizzare,
di conseguenza, come monarchico e filo britannico, nonostante le sue
motivazioni non fossero di natura politica.
Tuttavia, il passaggio
fondamentale per far sì che un avvenimento a risonanza regionale
– la comunità di Canudos, la sua struttura sociale e
il suo rifi uto di pagare le nuove tasse imposte dalla repubblica
– diventi un problema di sicurezza nazionale, lo si deve alle
abili manovre politiche attuate dalle oligarchie latifon-diste locali
che agognavano la fi ne della comunità religiosa di Belo Monte/Canudos.
Le ragioni dei fazendeiros erano semplici: la cittadina del sertão
baiano era arrivata in poco tempo a contare più di 25.000 anime
e, attraendo migliaia di miserabili allettati dal sogno di una vita
migliore, toglieva dal mercato una grossa fetta di manovalanza a basso
costo. Così, quando nel novembre del 1896 un contingente militare
formato da cento soldati viene sconfi tto e messo in fuga dai seguaci
del Conselheiro, le conclusioni che se ne traggono vanno ben al di
là dell’evento in sé.
I fazendeiros veicolano
la notizia, strumentalizzandola, e sui giornali della capitale si
legge che dopo la rivolta nel sud, adesso è il nord monarchico
a dichiarare guerra alla repubblica. Ci vorranno altre quattro spedizioni
militari per estirpare defi nitivamente dal sertão il pericolo
“monarchico” e sarà solo dopo averraso al suolo
e massacrato la quasi totalità della popolazione di Belo Monte,
che molti dei presenti si resero conto che il presunto esercito di
filo-monarchici addestrati da uffi ciali inglesi, altri non era che
un esercito di straccioni male armato.
Al fanatismo religioso
di stampo messianico-millenaristico che impregna le vicende di Canudos
è stato spesso dato un valore relativo; tale atteggiamento
è tangibile nelle prime interpretazioni, dove si è preferito
dare rilievo, soprattutto, alla presunta componente ideologica e politica
della co-
munità sertaneja. Lo scontro ideologico tra le due componenti
politiche – fi lo-monarchici e repubblicani – si concretò
palesemente sui giornali dell’epoca, la cui prospettiva
di analisi del fenomeno era in ficiata dalla limitata conoscenza dei
fatti e i cui contenuti riverberavano tale spaccatura. È suffi
ciente confrontare le opere di Euclides da Cunha e di Afonso Arinos
per evidenziare tale disparità di vedute. Nella prima prevale
un taglio positivista e fi lo-repubblicano e, anche se l’autore
denuncia la miseria e il sottosviluppo della regione, individua nella
follia del Conselheiro le ragioni di quel fanatismo di massa, di quella
nevrosi collettiva, e gli addossa, in larga parte, la responsabilità
dell’evoluzione tragica degli eventi; nella seconda, la narrazione
si realizza, apparentemente, dal punto di vista dei “jagunços”,
ma viene minata da due fattori: una prospettiva fortemente monarchica
che rispecchia la posizione dell’autore; e il fatto che Arinos
racconti i fatti senza essere stato sul posto, diversamente da Euclides
da Cunha, che ne fu testimone diretto.
La soppressione della
Compagnia di Gesù nel 1773 (nel territorio della corona
lusitana i gesuiti erano stati espulsi già dal 1759), è
da considerare come l’evento centrale e scatenante di una rifi
oritura escatologica, e in particolare del fi lone apocalittico, nel
XVIII secolo. In Brasile e in special modo nel sertão, tali
fenomeni non solo sopravvivono al XIX secolo, ma riescono ad entrare
anche nel secolo successivo con l’esperienza mistica di Padre
Cícero a Juazeiro.
Grazie a Euclides da
Cunha il fanatismo religioso assume dignità di scrittura, trasformandosi
in topos letterario; Os Sertões contrassegna in modo rimarchevole
tutte leriletture posteriori, dando origine a due fi loni interpretativi:
una corrente euclidiana e una corrente progressista. Difatti, nonostante
l’opera resti circoscritta, come lo dice ErildeReali “nelle
dimensioni di un sociologismo di stampo naturalista” il carattere
esplosivo del fenomeno in sé, indice di una crisi sociale e
geografi ca ben defi nita, ne permetterà “la sua utilizzazione
come strumento attivo di testimonianza e di polemica” nella
letteratura brasiliana degli anni Trenta..
La visione che dà
del fenomeno Jorge Amado, condannando le due alternative nordestine,
il banditismo dei cangaceiros e il profetismo visionario di beatos
e conselheiros, in nome di una giustizia sociale frutto del processo
di coscientizzazione politico e collettivo, non fa che anticipare
le posizioni dei cinemanovisti.
Difatti, tra la fi
ne degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta vi fu un vero
e proprio recupero di Canudos, in chiave amadiana, da parte dell’intellighenzia
di sinistra che trasformò quelle vicende in simbolo, bandiera,
della lotta per la terra, della lotta tra dominato e dominante,
insomma, un vero e proprio vessillo per l’attuazione della riforma
agraria. Nel Cinema Novo, tale discorso si palesa principalmente in
Deus e o Diabo na Terra do Sol (1964) e O Dragão da Maldade
contra o Santo Guerreiro (1969) di Glauber Rocha.
Nel processo fi lmografi
co che Glauber mette in atto in Deus e o Diabo, il tragitto di Rosa
e Manuel, attraverso la comunità mistica del beato Sebastião
a Monte Santo e la vita del cangaço insieme a Corisco, serve
a indicare la futura strada verso la presa di coscienza e la rivolu
zione da attuare attraverso la violenza. I due passaggi, la preghiera
e la violenza anarchica, sono le due alternative sociali del passato,
la rivoluzione è la via del futuro. Questi, in sintesi, la
struttura portante e il messaggio ideologico che il capolavoro glauberiano
mette, allegoricamente, in scena. Si ritrova qui rappresentato lo
stesso bivio che si presenta dinanzi a Fabiano, personaggio di Vidas
Secas, che tra cangaço e profetismo, si rifugia nella famiglia
e nell’idea di un futuro migliore, mentre Manuel e Rosa, passando
attraverso entrambe le fasi, si riscattano dalla loro condizione.
I motivi alla base
della contiguità tematica tra la prospettiva presente in Jorge
Amado, Graciliano Ramos e in gran parte della letteratura impegnata
del Trenta, e la cinematografi a brasiliana a cavallo degli anni Sessanta,
sono le tantissime affi nità storico-politiche tra i due periodi
storici; la percezione di una possibile ascesa delle sinistre è
una di queste, tuttavia, così come nel 1935 I motivi alla base
della contiguità tematica tra la prospettiva presente in Jorge
Amado, Graciliano Ramos e in gran parte della letteratura impegnata
del Trenta, e la cinematografi a brasiliana a cavallo degli anni Sessanta,
sono le tantissime affi nità storico-politiche tra i due periodi
storici; la percezione di una possibile ascesa delle sinistre è
una di queste, tuttavia, così come nel 1935 s’infranse
l’Intentona, nel 1964 s’infrangerà anche il sogno
delle sinistre al potere, bruscamente interrotto da un golpe militare.
La promessa di una
terra felice, di un paradiso terrestre, in cui abbonda cibo per i
poveri e il tempo è mite – chiaro il riferimento al problema
della siccità sertaneja – dove si realizza un rivo- luzionario
capovolgimento dell’equilibrio sociale, viene riproposta da
Glauber in tutta la sua illusorietà, per essere poi stroncata
attraverso la presa di coscienza di Rosa e, in seguito, di Manuel
che uccidono Sebastião, ancor prima dell’arrivo di Antônio
das Mortes che farà strage dei seguaci del mistico, risparmiando
solo la coppia.
La trance collettiva
si trasforma in delirio, venendo bruscamente soffocata dalle armi
di Antônio das Mortes.
Rosa è l’elemento
dissonante nella comunità di fanatici, è l’unica
che non si fa coinvolgere dalla follia collettiva e che tenta di convincere
Manuel ad abbandonare il beato e il suo seguito. Il climax viene raggiunto
quando Sebastião organizza un sacrifi cio umano per mondare
l’anima di Rosa dalle impurità che la tengono stretta,
secondo la prospettiva del beato, al demonio.
Antônio das Mortes
è il tramite per il nuovo cammino rivoluzionario da seguire,
la sua violenza contiene un messaggio chiaro: il fanatismo e il cangaço
rappresentano risposte antiche e inadeguate a risolvere lo stato di
miseria del Nordeste brasiliano; l’unica soluzione, dopo aver
preso coscienza della propria condizione, è la liberazione
da attuare attraverso la violenza direzionata. Insomma, ci
si trova dinanzi alla rappresentazione e all’attuazione cinematografi
ca dei dettami principali dell’Estetica della Violenza di Glauber.
Se il legame con le
vicende di Canudos ha una funzionalità retorica e serve a Glauber
Rocha per sviluppare la sua tematica e per concretare il suo discorso
estetico e ideologico, la rappresentazione di quegli avvenimenti nel
fi lm di Sérgio Rezende, A Guerra de Canudos (1997), sa molto
di commemorazione – sono passati cento anni dal massacro di
Canudos – e lascia poco spazio all’approfondimento.
Se il sertão
e la favela sono riproposti dal cinema della Retomada come due topici
fondamentali, dialogando così con il Cinema Novo – come
ha lucidamente illustrato in più saggi Ivana Bentes –,
nell’opera di Rezende non c’è un vero e proprio
recupero del paesaggio nordestino, che si riduce a mera scenografia.
Lo stesso dramma collettivo e l’utopia mistica del fanatismo
visionario passano in secondo piano rispetto al dramma individuale
dei componenti del nucleo familiare formato da Zé Lucena, Penha,
Luíza, Te-
reza e Toinho. Infatti, al limite della disperazione causata dalla
siccità e dalla povertà, Zé Lucena si ribella
e decide di intraprendere la “via mistica”: seguire con
la famiglia il Conselheiro. Ciò farebbe presupporre che il
regista opti, almeno apparentemente, per la struttura glauberiana
di Deus e o Diabo. Vi si ritrova anche l’elemento discordante:
Luiza, la fi glia maggiore, che scappa, rifi utando di seguire i beatos.
Tuttavia, Luíza è ben lungi dal riprendere il ruolo
che fu di Rosa. Nel film di Rezende non si discute più di
salvezza collettiva, l’obiettivo della cinepresa mette a fuoco
solo realtà individuali, i problemi dei singoli.
La storia di Canudos,
la fame e la siccità – cause di una situazione sociale
esplosiva – il profetismo messianico e il suo leader carismatico,
Antônio o Conselheiro, la costruzione della cittadina, le rappresaglie
contro l’imposizione di nuove tasse, le spedizioni militari
ed il massacro fi nale vengono considerati da Rezende come un mero
pretesto narrativo. Il dramma della famiglia di Zé Lucena,
vero fulcro della narrazione, poteva essere inscenato sia alla fine
del XIX secolo che alla fi ne del secolo successivo. Comparando le
epoche, il Brasile si è trasformato da paese tradizionalmente
agricolo a potenza industriale mondiale, ma la sua periferia è
rimasta con gli stessi problemi di sempre, e se i retirantes hanno
cambiato mezzo di trasporto e i camion hanno sostituito i vecchi carri
di buoi per le migrazioni interne, la siccità e la povertà
sono rimaste le stesse.
I limiti dell’opera
di Rezende non si fermano qui. Infatti, nonostante gli innumerevoli
studi su Canudos e l’allargamento delle prospettive e analisi
del fenomeno, il regista riprende quasi fedelmente la versione euclidiana
dei fatti, riproducendo a tratti l’immagine negativa e nevrotica
del Conselheiro.
L’aspetto millenaristico
che si evidenzia esplicitamente nei sermoni del predicatore itinerante
di Glauber, è ripreso anche da Rezende, ma vi è troppa
consapevolezza sociale che si confonde coi propositi dell’imminenza
dell’Apocalisse e la successiva età dell’oro.