E assieme agli uomini
di mare, agli spalloni, a non contare cerano i carrettieri,
o meglio i conduttori di carretti, perché cavallo e carretto
non gli appartenevano, rimbecciliti dal percorso sempre uguale
dal deposito di sùlfaro alla plaja e dalla plaja al deposito,
e più corse facevi più guadagnavi ma attento a
non struppiare il cavallo, a non rompere una ruota, allora ti
giocavi due o tre settimane di una paga già ridotta allosso
dalla percentuale dovuta al padrone del cavallo e carretto;
a non contare cerano i pirriatori delle cave e i minatori
di sùlfaro o di sale, che gli occhi gli lacrimiavano
quando tornavano a vedere il sole e la notte la tosse li martoriava,
i polmini fattinpiù polvere e pietra che carne; a non
contare cerano i pescatori delle paranze che dopo una
giornata di mare tinto nella quale serano giocata la vita,
si portavano a casa mezzo chilo di trigliola che doveva levare
la fame a dieci persone (...). Ma dato che si era fatta lora
di mangiare, pure loro che non contavanostavano mangiando. Lo
facevano però com fantasia, perché cera
da prendersi per il culo, convincersi cioè che la scanata
di pane di frumento di un chilo fosse appena bastevole per il
companatico che non andava più in là di una sarda
salata, di un uovo ciruso, di un pugno di olive. Allora si faceva
penzoliare dalla cima di una canna la sarda salata e si dava
un mozzicone al pane e una leccata di sarda, una sola passata
di lingua pelle pelle: i denti sulla sarda si cominciavano ad
adoperare verso la fine e il companatico era diventato cosa
ragionevole. Oppure si metteva in bocca tutto intero luovo
ciruso, che per questo scopo doveva essere bem sodo, lo siteneva
un poco tra lingua e palato e poi sempre tutto intero lo si
ritirava fuori e su questo sapore uno poteva mangiarsi magari
mezza scanata, e capace che in caso di bisogno luovo era
ancora buono per il giorno dopo.. I più fortunati, quelli
ai quali il lavoro dava diritto per tradizione alla calatina,
al companatico a spese del padrone, mangiavano caponatina, uninsalata
di capperi, sugo, sedani e melanazane annegata nellaceto,
e si sentivano meglio di un re.
Su consiglio di Trifiletti, che era pure persona di prudenza,
si allontanarono ancora un poco.
E dalla nuova posizione, dopo qualche minuto, sentirono prima
un boato lungo e lento, che proprio se la pigliava comoda, poi
videro lacqua che cominciava a bollire e mentre gli scafi
prendevano a tremare come per la terzana, unaltissima
colonna di fumo e faville si alzò a picco, facendo voci
di raggia e rumori proprio come una persona viva. Mentre il
sole diventava grigio, e una cenere spessa e densa entrava col
fiato nei polmoni, pregando la Madonna e tutti i santi, Currao
e Trifiletti, ammammaloccuti, si resero conto che stavano assistenso
a un fenomeno mai visto prima: unisola vulvanica nasceva
sotto ai loro occhi. Due giorni ci mise il mare a sgravarsi,
e per tutto il tempo stette a torcersi, ora arrabbiato e schiumoso
ora così piatoso nel suo lamento continuo, che veniva
desiderio di fargli una carezza: poi, il 15 luglio, lisaola
emerse tutta intera e il mare parve addormentarsi di colpo,
ormai giunto allo stremo.
Abbacatosi il vento e passata la mano allacqua di cielo,
corse Agostino Cultrera verso casa e il gran moto che aveva
addosso gli faceva fare gesti, lo faceva variare, scartare da
un lato allaltro della strada, pareva assicutato da uno
sciame invisibile. Manco si accorse di avere salito la scala,
spalancò la porta, si precipitò allo scagno. E
subito sentì che il cuore gli cadeva nelle scarpe: la
lettera che aveva lasciato sul piano del tavolo, qualle com
la quale denunziava lammanco di zolfi nei magazzini Barbabianca,
non si vedeva più> Sentendo materialmente i capelli
rizzarglisi in testa allidea che suo figlio avesse potuto
portarlo allo spedizioniere o che un colpo di vento lavesse
fatta volare in strada dalla finestra aperta, si accasciò
su una sedia sicuro che questa volta gli veniva una botta di
sangue, se già non aveva manco la voce per chiamare sua
moglie che a quellora se ne stava in camera da mangiare
a fare il tombolo.
Padre Imbornone aveva cominciato a fare voci che gli preparassero
il suo scappacavallo che ancora la parte poppiera della Tomorov
non sera inclinata sul fianco vomitando casse, corde,
pezzi di legno e ferro, piccoli pupi che comicamente si agitavano
ed erano uomini. Affascinato Lemonnier aveva visto dal porto
di Vigàta una, cinque dieci farfalle bianche volare verso
la nave miracolosamente tenendosi in bilico sopra i cavalloni,
sparendo e ricomparendo tra le valli e i monti che il mare copiava
dalla terra, frece candide che ostinatamente si dirigevano al
bersaglio vincendo, e questo Lemonnier lintuiva benissimo
angoscia e paura solo perchè nel luogo verso il quale
puntavano gridava unangoscia maggiore, una paura più
forte reclamava a gra voce una mano da stringere, una parola
incitante, un aiuto fatto magari solamente docchi amici
che ti taliano. Pareva pigliato dal fuoco di santantonio, Padre
Imbornone faceva salti ora su un piede ora sullaltro,
era diventato così rosso in faccia che uno volendo ci
poteva cuoce un uovo...
Stefanuzzo non le diede risposta ed Helke fu obbligata a voltarsi
del tutto, assurdamente sperando in quel momento di trovarsi
in Svizzera, lontano le mille miglia dalla Sicilia e da suo
marito< Ma quello che le si presentò agli occhi la
sbalordì. Stefanuzzo aveva gettato via il lenzuolo e
si era messo a pancia allaria facendo vedere che proprio
sotto a dove finiva la fasciatura si alzava un palo citrigno
come mai lo era stato e lo stesso Stefanuzzo stava a taliarselo
com una curiosità sicuramente superiore a quella della
signora Helke.
Ma non ti farà male? domandò la signora,
trattenendosi dal prenderlo in mano, carezzarlo e baciarlo:
quello era il segno che, comunque fossero andate le cose, la
faccenda del tettomorto aveva imboccato una via senza pericole
conseguenze. Si trattene perché ci aveva provato una
sola volta, ancora in Svizzara, e Stefanuzzo le aveva scostato
bruscamente la testa e aveva detto, inorridito: Ma che
fai? Sei pazza? Queste sono cose da buttane!
Non ti farà male?, ripeté visto che
Stefanuzzo continuavo a taliarselo affascinato. No, se
tu mi vieni di soprarispose suo marito. Helke obbedì.
Mai Stefanuzzo si era sognato di farlo in quel modo peccaminoso;
una volta al mese, quando si decideva, non si levava manco la
camicia da notte e voleva cha magari Helke tenesse la sua. Questa
volta invece, mentre Helke lo cavalcava, arcuò il corpo
lamentandosi e g;liela sflilò dalla testa e non si sognò
di scendere dal letto lasciando loperazione a metà,
come sempre aveva fatto le altre volte, per astutare tutti i
lumini, mentre Helke che rimaneva in tredici ristabiliva lequilibrio
religioso sparando mentalmente, e in tedesco, tutte le bestemmie
checonosceva. Solo al momento giusto Stefanuzzo si preoccupò
di cautelarsi lanima com una giaculatoria che Padre Cannata
gli aveva insegnato: Non lo foper piacer mio/ ma
per dare un figlio a Dio .
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E juntamente
com os homens do mar, com os estivadores que não
contavam, estavam também os carreteiros, ou melhor, os
condutores de carretas, porque o cavalo e a carreta não
lhe pertenciam, imbecilizados pelo percurso sempre igual, do
depósito até a praia, e da praia até o
depósito, e quanto mais corrida faziam mais ganhavam,
rendo apenas o cuidado de não aleijar o cavalo ou de
não quebrar uma roda, porque perdiam, no caso, duas ou
três semanas de um salário já ínfimo,
dada a percentagem devida ao dono do cavalo e da carreta; entre
os que também não contavam estavam ainda os picareteiros
dos canteiros e os mineiros de enxofre ou de sal, cujos olhos
lacrimejavam quando voltavam a ver a luz do sol e que, à
noite, eram martirizados pela tosse, os pulmões tornados
mais poeira e pedra que carne; não contavam ainda em
absoluto os homens das barcas de pesca que, depois de uma jornada
em mar bravo, onde arriscavam a vida, traziam para casa meio
quilo de salmonetas que deveriam matar a fome de dez pessoas
(...). Mas, como tinha chegado a hora da refeição,
até eles, que não eram levados em conta para nada,
estavam comendo. Só que o faziam no faz-de-conta, porque
era como se fingissem que comiam, ou seja, como se estivessem
convencidos de que uma broa de trigo de um quilo fosse suficiente
para complementar algo que não era mais que uma sardinha
salgada, um ovo cozido, ou um punhado de azeitonas. Então,
fazia-se pendurar em um pedaço de cana o peixe salgado,
dava-se uma mordida no pão e uma lambida no peixe, só
uma leve lambidinha na pele, as mordidelas na sardinha só
começavam a ser dadas no final, quando se chegasse a
um razoável equilíbrio na relação
entre o pão e aquele acompanhamento. Ou então
punha-se na boca o ovo cozido inteiro, que para tal devia estar
bem duro e que se mantinha um pouco entre a língua e
o palato, para, em seguida, ainda inteiro, tirá-lo da
boca e com o sabor que dele ficava comer o resto da broa; e
era possível, em caso de necessidade, que o ovo ainda
servi-se para o dia seguinte. Os mais afortunados, aqueles a
quem o emprego dava direito, por tradição, a um
complemento, a uma regalia dada pelo patrão, comiam caponatina,
uma salada de alcaparras com molho, aipo e beringelas maceradas
no vinagre, e sentiam-se mais que um rei.
A conselho de Trifiletti, que era também uma pessoa prudente,
afastaram-se um pouco mais.
E a partir da nova posição, depois de alguns minutos
ouviram primeiro um forte estrondo, prolongado e lento, de uma
lentidão tranqüila, a seguir viram a água
principiar a ferver, e, enquanto as embarcações
começavam a tremer como se estivessem com febre terçã,
uma altíssima coluna de fumaça e faíscas
levantou-se na vertical, com silvos de rumor e raiva como os
de uma pessoa viva. À medida que o sol se tornava cinzento,
que uma cinza espessa e densa entrava pelos pulmões ao
respirar-se, e que os marujos, mortos de medo, caíam
de joelhos implorando à Virgem e a todos os santos, Currao
e Trefiletti, estupefatos, se deram conta de que estavam assistindo
a um fenômeno nunca antes visto: uma ilha vulcânica
nascia diante de seus olhos. Dois dias levou o mar neste parto,
em contrações que duraram todo este tempo, ora
raivoso e espumejante, ora tão compassivo em seu ininterrupto
lamento que dava vontade de acariciá-lo. Depois, em 15
de julho, a ilha emergiu por inteiro, e o mar pareceu adormecer
de repente, como se já estivesse exausto.
Amainado o vento e com o céu lavado após a chuva,
Agatino Cultrera correu para casa e a grande agitação
que sentia por dentro o levava a gesticular, desnorteado, pulando
de um lado para o outro da rua, como que perseguido por um enxame
invisível. Nem se deu conta de ter subido as escadas
e escancarando a porta, precipitando-se escritório adentro.
E de repente sentiu como se o coração lhe saísse
pela boca: a carta que havia deixado sobre a mesa, aquela em
que denunciava o desfalque de enxofre nos depósitos Barbabianca,
não estava mais ali. Sentindo os cabelos literalmente
de pé à idéia de que o filho pudesse tê-la
encaminhado à expedição ou que uma rajada
de vento a tivesse feito voar pela janela aberta para a rua,
desabou em uma cadeira, certo de que desta vez teria um enfarte,
visto que lhe taltavam forças até para chamar
sua mulher, que àquela hora costumava ficar na sala de
jantar fazendo renda.
Padre Imbornone tinha começado a gritar, pedindo que
lhe aprontassem a charrete no momento em que a popa do Tomorov
ainda não se havia inclinado de lado, vomitando caixas,
cordas, pedaços de madeira de ferro, e pequenos bonecos
que se agitavam comicamente e eram os homens. Fascinado,
Lemonnier tinha visto uma, cinco, dez borboletas brancas voarem
do porto Vigàta rumo ao navio, mantendo-se milagrosamente
em equilíbrio sobre as violentas ondas, desaparecendo
e voltando a aparecer entre os vales e montanhas com que o mar
copiava a terra, cândidas flechas que teimosamente dirigiam-se
para o alvo, superando, e isto Lemossier intuía muito
bem, a própria angústia e o próprio medo
porque do lugar para o qual se dirigiam chamavam uma angústia
maior e um medo mais forte, pedindo, em altos brados, uma mão
estendida, uma palavra de estímulo ou uma ajuda, mesmo
que feita só de olhares amigos. Padre Imbornone parecia
tomado pelo fogo de Santo Antônio, saltava ora num pé,
ora no outro, o rosto tão aceso que se diria possível
nele estrelar um ovo ...
Stefanuzzo não lhe respondeu e Helke foi obrigada a voltar-se
por inteiro, desejando naquele momento encontrar-se na Suíça,
a mil milhas de distância da Sicília e de seu marido.
Mas o que se apresentou diante de seus olhos deixou-a no maior
espanto: Stefanuzzo havia jogado o lençol para o lado
e se havia posto de barriga para cima, mostrando que, exatamente
onde terminava a atadura, levantava-se um pênis mais ereto
do que nunca, e o próprio Stefanuzzo estava olhando para
ele com uma curiosidade ainda maior que a da Senhora Helke.
Mas não vai te fazer mal?, perguntou a Senhora
Helke, refreando seu desejo de agarrá-lo com a mão,
acariciá-lo e beijá-lo: aquilo era um sinal de
que, fosse qual fosse o andamento das coisas, o assunto do sótão
tinha tomado um rumo sem graves conseqüências. Refreava-se
porque já havia tentado, uma só vez, ainda na
Suíça, e Stefanuzzo lhe tinha afastado bruscamente
a cabeça, dizendo horrorizado:
Mas o que está fazendo? Enlouqueceu? Isto são
coisas de putas!
Não vai te fazer mal?, repetiu ela, vendo
que Stefanuzzo continuava a olhar o próprio pau, fascinado.
Não, se você vier por cima de mim,
respondeu seu marido. Helke obedeceu.
Nunca Stefanuzzo sonhava fazê-lo daquele modo pecaminoso;
uma vez por mês, quando estava disposto, nem tirava o
camisão e pretendia até que Helke também
mantivesse sua camisola. Desta vez, pelo contrário, enquanto
Helke o cavalgava, ele arqueou o corpo, gemendo, tirou a camisola
dela pela cabeça, e nem pensou em descer da cama, deixando
a operação pelo meio, como costumava fazer nas
outras ocasiões, para apagar todas as lamparinas, enquanto
Helke, que ficava ainda com tesão, restabelecia o equilíbrio
religioso despejando mentalmente em alemão todas as blasfêmias
que conhecia. Só ao chegar no auge, Stefanuzzo ainda
se preocupou com a salvação de sua alma com uma
jaculatória que Padre Cannata lhe havia ensinado: Não
o faço por prazer meu / mas para dar um filho a Deus.
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