Lingua, Cultura e Didattica
Oggi
Paola Micheli
Cosa
significa oggi insegnare l’italiano come lingua straniera? E’
cambiato negli anni il ruolo dell’insegnante in Italia e all’estero?
La lingua è senza dubbio anche veicolo di cultura nel senso
più ampio del termine dunque insegnare una lingua significa
non perdere di vista i diversi ambiti di cui essa è espressione.
In passato l’insegnante d’italiano all’estero era
indubbiamente penalizzato dalla lontananza dal nostro Paese. I pochi
libri di testo che esistevano, prevalentemente impostati su approcci
di tipo grammaticale-traduttivo, offrivano dei modelli di lingua sostanzialmente
lontani dall’uso effettivo ignorando di conseguenza il panorama
delle varietà linguistiche e la componente culturale di cui
queste varietà erano e sono veicolo.
E mentre in Italia cominciavano a svilupparsi studi di glottodidattica
che progressivamente conducevano l’insegnamento/apprendimento
verso approcci di tipo comunicativo, all’estero si è
continuato ancora per molti anni a privilegiare metodi di tipo tradizionale.
La mancanza di una politica linguistica che presupponesse l’aggiornamento
costante degli insegnanti e la promozione di aspetti culturali più
moderni rispetto a quelli tradizionali, legati alla cultura classica
quando non a meri stereotipi sclerotizzati dai massicci flussi di
emigrazione, risulta essere forse la causa più rilevante del
vistoso ritardo dell’evoluzione della realtà di insegnamento/apprendimento
all’estero.
E’ un fenomeno tutto sommato relativamente recente a livello
di politica nazionale il recupero del patrimonio culturale italiano
e l’attenzione verso la diffusione della lingua nelle più
vaste aree di emigrazione; il che ha inevitabilmente favorito contatti
e interventi di rivalutazione della nostra lingua, inusitatamente
richiesta a livello sia di lingua etnica che di L2.
A seguito di questi fatti è stato possibile stabilire, da parte
delle istituzioni italiane preposte all’insegnamento della lingua
italiana a stranieri, contatti sempre maggiori con realtà di
insegnamento/apprendimento sia pubbliche che private e iniziare un
processo continuativo a livello prima di tutto di formazione e aggiornamento
del personale docente che, al di là di consentire e ampliare
le opportunità di contatto con l’Italia, ha aperto anche
canali di accesso ai processi di sviluppo degli studi di glottodidattica.
Il fenomeno forse più innovativo che ha recentemente interessato
gli approcci didattici, sulla spinta di una società sempre
più multietnica, è stata la cosiddetta ‘ondata
interculturale’ che a partire dagli anni ’90 ha cominciato
a influenzare le teorie sulla competenza comunicativa, spostandole
verso un’ottica interculturale. Secondo questo presupposto non
basta tradurre linguisticamente i modelli della comunicazione quotidiana
da una cultura nazionale a un’altra, ma diventa indispensabile
cambiare il proprio punto di vista per vedere il mondo con gli occhi
dell’interlocutore, conoscere e interpretarne correttamente
il suo background culturale, comprendere la diversità culturale
e specifica degli aspetti di “civiltà” della sua
cultura (compresi i codici non verbali) non tanto in termini di contrasto
quanto di comparazione.
La prospettiva interculturale presuppone di operare una distinzione
con la situazione di multiculturalita’, che è una situazione
transitoria e limitata nel tempo, dettata da necessità contingenti
e non da scelta; non implica perciò il fatto di abbandonare
i propri valori e far propri quelli del luogo in cui si ‘espatria’;
prevede invece di conoscere gli altri e di rispettare le differenze
che rimandano a diverse storie delle varie culture. L’ottica
interculturale è un atteggiamento costante, che prende atto
della ricchezza insita nella varietà, che non tende all’omogeneizzazione
ma ha come obiettivo quello di permettere l’interazione più
piena e fluida possibile tra le diverse culture.
Nella didattica delle lingue questi presupposti si traducono nel dare
maggiore rilievo agli aspetti affettivi, cognitivi e comunicativo-comportamentali
del dialogo interculturale, anche per far fronte alle nuove spinte
motivazionali all’apprendimento delle lingue moderne.
La competenza comunicativa si articola dunque intorno a un insieme
di ‘saperi’ che prevedono l’acquisizione delle quattro
abilità principali (tenendo conto che pur essendo dei processi
universali possono dar luogo a esiti diversi che variano da cultura
a cultura), della capacità di mettere in pratica la grammatica
sociolinguistica, pragmatica e antropologica, senza tuttavia prescindere
dalla competenza linguistica (lessicale, morfosintattica, testuale,
fonologica e paralinguistica) ed extralinguistica (cinesica, prossemica,
vestemica, e oggettemica).
La pubblicazione del Quadro Comune di Riferimento Europeo, frutto
di più di un trentennio di ricerca linguistica e pedagogica
iniziata nel 1971 dal Consiglio d’Europa, consente di fornire
una base comune e coerente per l’elaborazione di tutti i prodotti
legati al processo di apprendimento/insegnamento delle lingue straniere
e alla loro valutazione. Il Quadro descrive in modo chiaro ed esaustivo
obiettivi, contenuti e metodi con lo scopo di garantire la massima
trasparenza di corsi, programmi e certificazioni necessari per la
cooperazione internazionale nel campo delle lingue moderne. ‘Saper
essere’, ‘Sapere’ e ‘Saper fare’ costituiscono
tre modalità basate su questi presupposti per giungere alla
definizione delle competenze generali di chi impara e usa una seconda
lingua, focalizzate sia sullo stile cognitivo, la motivazione e l’atteggiamento
dell’apprendente, sia sull’insieme di conoscenze delle
regole che governano un sistema linguistico (regole e contenuti) che
su quelle che risultano dal saper interagire quotidianamente nella
società in cui la L2 è usata (regole dell’uso
e dell’interazione sociale).
Abbandonando definitivamente la progressione grammaticale dei contenuti,
propria di una concezione strutturale di una lingua, il Quadro di
Riferimento Europeo testimonia la più appropriata concezione
di lingua come sistema per l’interazione sociale, fornendo agli
addetti ai lavori, senza tuttavia rigide prescrizioni, una scala di
competenze in cui si inscrivono in dettaglio i contesti di usi linguistici
che un utente/apprendente è in grado di controllare a ciascuno
dei sei livelli di competenza individuati.
Lo sviluppo delle nuove tecnologie nell’ambito della comunicazione,
dal canto suo, consente oggi anche a chi opera come insegnante d’italiano
all’estero, di ridurre in modo considerevole quelle distanze
che in passato sembravano insormontabili. I più svariati generi
audiovisivi sono stati per l’insegnante un efficacissimo veicolo
di informazioni preziose per non perdere i contatti con le tendenze
di variazione d’uso della lingua ma anche uno strumento didattico
di rilevante importanza per accrescere la motivazione degli apprendenti
allo studio della lingua. Nell’ultimo decennio questo percorso
ha subìto una forte accelerazione con la progressiva affermazione
della TV satellitare, che consente un rapporto continuativo e stimolante
con il paese in cui la L2 è veicolare attraverso notiziari,
programmi di intrattenimento e di approfondimento, pubblicità
e cinema.
Proprio il cinema, entrato in classe prevalentemente come supporto
didattico, costituisce oggi un vero e proprio strumento di apprendimento
che se da un lato favorisce l’interesse per la lingua e la cultura
italiana, dall’altro consente insostituibili riflessioni anche
sulla lingua. Anzi, si deve riconoscere al cinema il merito di avere
favorito nello spettatore-allievo quel processo di consapevolezza
che era mancato in passato, con particolare riferimento alla varietà
dei comportamenti linguistici e culturali italiani.
Oggi, grazie anche a nuovi supporti tecnologici come il DVD, il cinema
accresce le sue potenzialità di strumento didattico di una
lingua-cultura per quanto concerne la flessibilità d’uso
e anche per le insostituibili caratteristiche tecniche. Inoltre, nell’ambito
della comunicazione extra-linguistica il cinema diventa un ottimo
strumento per focalizzare la dimensione gestuale, prossemica, vestemica.
L’uso del computer in classe e dello sfruttamento delle possibili
tecniche a fini didattici è oggi uno degli ambiti di studio
in progress che attrae molti addetti all’insegnamento delle
lingue e dunque anche dell’italiano. Accanto ai sempre più
numerosi prodotti creati specificamente per la didattica (anche in
autoapprendimento), su Internet è possibile accedere a siti
che propongono veri e propri corsi di lingua italiana. Ma la rete
consente anche di integrare la didattica con una miriade di informazioni
sui più svariati ambiti ricavando materiali autentici per ogni
fascia d’età (dai bambini, agli adolescenti, agli adulti)
da didattizzare o anche già pronti per lo sfruttamento didattico.
Con l’evolversi della tecnologia la didattica dell’italiano,
anche a migliaia di chilometri di distanza dall’Italia, si fa
più completa, più aderente alla realtà oltre
che naturalmente più piacevole e interessante.
Queste nuove prospettive comportano che l’insegnante sia disposto
a rimettersi in causa, ad aggiornarsi sulle opportunità che
i nuovi strumenti di comunicazione gli forniscono. E soprattutto a
rafforzare la convinzione che il suo ruolo, oggi più di ieri,
consiste nell’essere regista del processo didattico. L’insegnante,
che già da tempo con l’avvento degli approcci di tipo
comunicativo avrebbe dovuto perdere la centralità nel processo
di insegnamento-apprendimento, assume più che mai la funzione
di mediatore tra la lingua da insegnare e i suoi allievi che di quella
lingua devono acquisire gli usi e la relativa portata culturale.
Ma le nuove tecnologie rischiano di insidiare il ruolo dell’insegnante?
Certamente no. E’ evidente che oggi il docente ha potenzialità
che in passato non aveva; ma i supporti tecnologici non potranno mai
sostituirsi completamente alla sua presenza in classe. Resta infatti
delegato alla sua preparazione, al suo entusiasmo, alla sua fantasia
il compito di motivare o coltivare la motivazione dei suoi allievi,
senza mai prescindere dal presupposto che la lingua è uno strumento
di comunicazione e come tale veicolo della cultura di un Paese.