Boccaccio & Pasolini:
La lettura dei classici
Maria Celeste Tommasello
Ramos
Nel
1971, Pier Paolo Pasolini ci presenta una sua lettura del Decameron
di Boccaccio, scritto tra il 1348 ed il 1353. Come regista, autore
del soggetto e della sceneggiatura, Pasolini, con il film omonimo
all’opera boccaccesca, costituisce insieme a “I racconti
di Canterbury” e “Il fiore delle Mille e una notte”,
la cinematografica “Trilogia della vita”. Diverse fonti
affermano che con questo film lui intende dichiaratamente recuperare
il lato giocoso e naturale della sessualità, abbattendo gli
usuali tabù ad essa collegati. È proprio per questo
motivo che trasferisce l’azione dalla Firenze boccaccesca a
Napoli, con il suo dialetto immutato nel tempo e la sua atmosfera
laica. Delle dieci giornate del testo letterario, quelle dalle quali
Pasolini trae materiale narrativo da rielaborare sono: I, II, III,
IV, V, VI, XIX (una novella) e VII (due novelle; il tema è
la beffa). Sono interamente trascurate l’ottava (a tema libero)
e la decima (fatti magnanimi, d’amore e non).
Rispetto all’ordine, alla frequenza, al modo e alla voce narrante
delle novelle scelte, il regista italiano non adotta soluzioni che
si discostano molto dal testo letterario, però dobbiamo ricordarci
che si tratta del linguaggio cinematografico e che bisogna fare diversi
cambiamenti per adattare il contenuto ad una nuova forma.
“Ser Ciappelletto” e “L’allievo di Giotto”
sono gli episodi che fanno da nuova “cornice” agli altri
sette. Il primo episodio racconta di Ser Ciappelletto, uomo libertino
ed immorale che in punto di morte viene creduto in odore di santità,
e il secondo dell’allievo di Giotto, interpretato dallo stesso
Pasolini, che sogna, sotto forma di pitture trecentesche, alcune immagini
incentrate sui temi dell’inferno e del paradiso. Queste due
novelle sostituiscono la “cornice” boccaccesca dei dieci
giovani fiorentini che raccontano cento novelle (dieci ciascuno) in
dieci giornate. La nuova cornice è frammentata tra le altre
sette novelle che sono presentate da Pasolini: “Andreuccio da
Perugia”, “Masetto da Lamporecchio”, “Peronella”,
“Riccardo e Caterina”, “Lisabetta da Messina”,
“Don Gianni” e “Tingoccio e Meuccio”. È
con l’intera novella di “Andreuccio da Perugia”,
giunto a Napoli per comperare dei cavalli, che si apre il film. Prenderemo
questa novella come esempio di quello che accade nelle altre scelte
da Pasolini nella sua lettura cinematografica. Nel testo letterario,
le sequenze narrative del racconto sono efficacemente riassunte nella
fronte (nel linguaggio boccaccesco, piccolo testo introdutorio all’inizio
di ogni novella): Andreuccio da Perugia, venuto a Napoli a comperar
cavalli, in una notte da tre gravi accidenti soprapreso, da tutti
scampato con un rubino si torna a casa sua (II, 5, 1). Qui vengono
indicati il nome e l’origine del personaggio (Andreuccio e Perugia),
la sua attività di mercante di cavalli, Napoli come luogo dell’azione,
l’unità di tempo della novella – una notte –
e la scansione in tre momenti successivi, definiti gravi accidenti.
Infine, la conclusione felice delle azioni del personaggio, che inserisce
il racconto nella seconda giornata, nella quale, la “regina”
Filomena ha scelto come argomento chi, da diverse cose infestato,
sia oltre alla sua speranza riuscito a lieto fine.
E quali sarebbero questi tre momenti dell’avventura di Andreuccio?
Possiamo designarli così: 1) la borsa e la latrina 2) il puzzo
ed il pozzo e 3) il sepolcro e la libertà. Si tratta di tre
sequenze di lunghezza diseguale, poiché la prima, che include
una “metanovella” (la falsa storia della Madonna Fiordaliso),
da sola occupa più di due terzi della novella, mentre gli altri
due segmenti dividono in parti uguali l’ultimo terzo del testo.
Nella prima, Andreuccio infrange il principio secondo il quale non
si deve mai far mostra del proprio denaro in un luogo pubblico. Approfittando
della dabbenaggine del giovane, una donna di facili costumi –
Madonna Fiordaliso (in riferimento all’emblema del fiorino d’oro
– il fiore da liso) – facendogli prospettare il miraggio
di un’avventura amorosa, lo attira in una trappola e, dopo averlo
ulteriormente raggirato con l’invenzione di una falsa parentela
(lei si propone figlia illegittima del padre di Andreuccio), lo deruba
e lo getta in una discarica. Senza denaro, sporco e puzzolente, Andreuccio
inizia la seconda sequenza, nella quale è trovato da due ladri
che l’obbligano a lavarsi dentro un pozzo nel buio, per pulirsi
e liberarsi del puzzo, e riesce a venir fuori da questo pozzo da solo
ed in maniera rocambolesca. Ritornano i due ladri e lo convincono
a spogliare il cadavere di un arcivescovo per rubare il suo rubino.
È così che entra nella terza sequenza, insieme ai due
falsi “amici”, per rubare il rubino in chiesa. Lì
deve lui stesso tuffarsi nella tomba dove decide di tenere per sé
l’anello desiderato e così viene condannato a morte dai
due ladri, che indispettiti, chiudono la tomba. Però sono sopravvenuti,
per fortuna di Andreuccio, un gruppo di chierici con l’intenzione
di rubare, anche loro, il rubino, ed è così che il ragazzo
da Perugia viene salvato dalla morte e esce dalla chiesa e, dopo,
dalla città, con l’anello che ha “comprato”
al posto dei cavalli, come se il furto in chiesa fosse una transazione
commerciale: e a Perugia tornossi, avendo il suo investito in uno
anello, dove per comperare cavalli era andato ....
Come Pasolini legge questa novella? Prima di tutto sparisce la voce
narrante, la Fiammetta di Boccaccio, che raccontava, nel testo letterario,
la faccenda di Andreuccio e non c’è riferimento alla
fronte, per trattarsi di narrativa audiovisiva. Così, la durata
di questo episodio filmico è caratterizzata dall’avvicinamento
diegesi (storia raccontata) / narrazione (discorso narrativo), dovuto
all’omissione delle parti prologiche della novella. Il racconto
della giovane siciliana – Madonna Fiordaliso – è
riferito ad un passato che non é mai realmente stato, e quindi
non è propriamente prolettico. La soluzione della linearità
cronologica concerne l’intera opera. La narrazione ha una durata
di 19’ 47’’, relativi ad un tempo diegetico di alcune
ore: dalla mattina alla notte. Sono presenti otto ellissi, tutte indeterminate,
riguardanti elisioni di minuti o secondi. La terza costituisce eccezione,
comportando un salto di ore; non è connessa con una variazione
locale: lo spazio rappresentato è sempre la casa della siciliana.
Ogni cambiamento spaziale implica, invece, un procedimento ellittico.
Le scene, coincidenza di diegesi e racconto, sono tre: la siciliana
narra ad Andreuccio la sua falsa biografia; Andreuccio incontra i
due ladri; il sagrestano (al posto dei chierici boccacceschi) dirige
il furto che libera Andreuccio dalla morte. Il racconto non è
focalizzato: all’istanza narrante e al narratario (lo spettatore)
è attribuito un livello cognitivo superiore rispetto a quello
del protagonista. Andreuccio non conosce l’inganno ordito, mostratoci
anticipatamente; crede vere le vicissitudini della giovane. Come negli
altri episodi, la voce narrante è extradiegetica-eterodiegetica,
corrispondendo ad una istanza anonima non identificabile con un personaggio.
Vi è, tuttavia, una narrazione interna (di secondo grado):
la siciliana che riferisce il proprio passato ad Andreuccio (racconto
intradiegetico di forma omodiegetica, riferendosi ad eventi, fittizi,
ai quali chi narra avrebbe partecipato). Nella novella letteraria
del Decameron, la vicenda è preceduta da un antefatto, la decisione
della partenza e l’arrivo di Andreuccio, omesso da Pasolini.
La durata diegetica è quasi equiparabile a quella dell’episodio
filmico, tranne due soppressioni, la prima della voce narrante di
Fiammetta (prologo) e la seconda della seconda sequenza narrativa,
quella del pozzo. Le determinazioni temporali non sono infrequenti:
“la mattina” il protagonista è al mercato, “in
sul vespro” la donna lo fa invitare per parlargli, “essendo
già mezzanotte” il giovane mercante e i due ladri entrano
nella chiesa. Nell’incontro tra il protagonista ed i ladri e
nel secondo tentativo di furto vi sono modeste ellissi (E detto questo,
consigliatisi alquanto, gli dissero…; …dopo una lunga
tencione, un prete disse…). E, come abbiamo già menzionato,
Pasolini cambia il gruppo di chierici per un altro di giovani con
a capo un sagrestano.
Nelle tre sequenze narrative del racconto possiamo vedere che Andreuccio,
all’inizio ingenuo e stupido, alla fine è riuscito a
migliorarsi, almeno davanti a quel mondo mercantile, perché
acquista un po’ di buon senso e di necessaria furbizia proprie
del mondo borghese. Qui possiamo fissare un percorso di apprendistato
fatto da Andreuccio, da ingenuo (asino fastidioso, come è chiamato
nella narrativa) diventa, tramite azioni interpretate in funzione
simboliche (latrina = sporco per la vita mercantile / pozzo = possibilità
di purificazione nella quale si libera dal puzzo / tomba = morte nella
vita ingenua per risorgere in una vita mercantile borghese), furbo
e, così, adatto alla vita borghese:
Anche se nella lettura di Pasolini viene saltata la seconda sequenza,
il percorso fatto da Andreuccio resta lo stesso, cioè, lui
passa da ingenuo a furbo e impara le regole della vita mercantile,
sempre per Fortuna.
Pasolini (1922-1975) ha prodotto opere letterarie e cinematografiche
neorealiste e, così, ci ha fatto sentire il gusto per la vita
quotidiana, burlesca, vera, reale e la valorizzazione del linguaggio
popolare, cioè, il dialetto, che nel testo di Boccaccio è
proprio il volgare letterario del trecento e in quello di Pasolini
diventa il dialetto napoletano, immutato nel tempo, popolare, conosciuto
da tanti. Sono diversi i motivi per giustificare la scelta del testo
di Boccaccio come testo-fonte per questa lettura del regista italiano.
Come nel caso di “Andreuccio da Perugia”, nelle altre
novelle scelte da Pasolini, possiamo vedere soppressioni che non alterano
i risultati interpretativi delle novelle, così, alla fine di
ciascuna, il percorso è quello stesso delle novelle di Boccaccio,
senza cambiamenti. C’è, però, la sostituzione
della cornice boccaccesca che nel film di Pasolini viene fatta dalla
unione di brani di due novelle, come già abbiamo detto. Questo
cambiamento, oltre ad alterare l’istanza narrante, cambia un
altro punto: al posto di quei dieci giovani che raccontavano ognuno
di loro una storia, a ciascuna delle dieci giornate corrispondono
due novelle divise e mescolate alle altre sette, allo spettatore non
sarà tanto facile capire quelle scene divise le une dalle altre.
Adesso troviamo una voce narrante extradiegetica, che corrisponde
ad una istanza anonima non identificabile con un personaggio e l’indicazione
non tanto chiara che si deve unire le scene tra le novelle intere
per formare due altre novelle, quelle di “Ser Ciappelletto”
e del “L’allievo di Giotto”. Forse è più
facile agli spettatori italiani capire questa nuova cornice, invece,
a quelli stranieri, diventa un po’ difficile la prima volta.
Però, se pensiamo di utilizzare il film nell’insegnamento
della Letteratura Italiana a stranieri, il professore può,
nelle spiegazioni del libro boccaccesco e di questa sua “traduzione”
filmica, chiarire, prima di dare inizio alla visione del film, com’è
fatta questa nuova cornice.
Così, la visione del film diventa un mezzo efficace di far
capire agli studenti come si può conoscere e leggere classici
della tradizione letteraria in un modo coinvolgente e stimolante.
Anche perché ci sono diversi studi, tra i quali possiamo trovare
quello di Luciano Rossi (I tre “gravi accidenti” della
“novella” di Andreuccio da Perugia, Strumenti critici,
a. XI, n. 3, settembre 1996, p. 385-398) che ci fanno vedere il dialogo
intertestuale che esiste tra le novelle di Boccaccio e tantissimi
testi della letteratura mondiale. L’articolo di Rossi ci parla
del rapporto tra la novella “Andreuccio da Perugia”, l’Asino
d’Oro, di Apuleio (125 ca.-170 ca. d. C.) e anche la Divina
Commedia (Inferno, III e XXXIII) di Dante Alighieri (1265-1321). Secondo
Rossi, l’influenza dell’Asino d’Oro si può
verificare fin dalla prima (dis)avventura (p. 392). E ci fa capire
che ci sono similitudini e diversità tra personaggi, azioni
e situazioni come, per esempio, nel testo di Boccaccio: Andreuccio
è riconosciuto dai ladroni dal puzzo, nel libro di Apuleio
esso ha funzione opposta, permette a Lucio di liberarsi dall’assalto
dei briganti. Dalla Commedia di Dante, Boccaccio trasse versi, reminiscenze
dell’Inferno, qualche volta in tono parodistico e molto interessante.
Infine, anche Boccaccio legge classici della sua tradizione letteraria,
come lo farà, tanti secoli dopo, Pasolini nel leggere Il Decameron,
I racconti di Canterbury e Mille e una notte.
Boccaccio legge Apuleio, Dante ed altri nella pratica letteraria,
Pasolini legge Boccaccio, Chaucer ed altri nella pratica cinematografia,
e noi, professori di Lingua e Letteratura straniera possiamo leggere
Apuleio, Dante, Boccaccio, Chaucer, Pasolini e tanti altri nella nostra
pratica didattica, nell’utilizzare il film come mezzo per introdurre
e presentare la letteratura e così motivare lo studio non solo
di Lingua e Letteratura Straniera, ma anche quello della Cultura Straniera
in un modo interessante e adatto agli studenti audiovisivi del terzo
millennio, cioè, dei nostri giorni.